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“Larga parte di quelli che soffrono di malattie reumatiche devono fare i conti anche con ansia e depressione”. Un’indagine dell’Apmar documenta il nodo, ampio e in parte trascurato, delle conseguenze psicologiche del dolore, rilanciando l’esigenza di un’attenzione integrata al paziente. Vittime, perlopiù, le donne. Ma gli uomini denotano un problema in più: non ne parlano.

Il dolore espone all’alto rischio di pesanti ricadute psicologiche, motivo in più per trattarlo con la massima attenzione. Lo ha ricordato nei giorni scorsi, col supporto di nuovi dati in materia, l’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare (Apmar ), al 55esimo Congresso nazionale della Società Italiana di Reumatologia.

“Il 65% delle donne e il 59% degli uomini che convivono con una malattia reumatica devono fare i conti anche con ansia e depressione, perlopiù conseguenze del dolore quotidiano”, ha spiegato la presidente di Apmar, Antonella Celano, illustrando l’esito di una ricerca  condotta su oltre un migliaio di pazienti, e ricordando il pesantissimo impatto del dolore sulla qualità della vita personale e lavorativa.

Tra gli aspetti significativi dell’approfondimento emergono un paio di questioni di genere. Anzitutto, si conferma non solo la prevalenza femminile, ma anche la gravità degli effetti. A soffrire di malattie reumatiche sono in due casi su tre le donne. E il 30% dichiara di aver riscontrato un peggioramento della propria salute negli ultimi dodici mesi, proporzione che scende al 23% tra gli uomini.

Questi ultimi peraltro lamentano una problematica specifica. Ammettono cioè serie difficoltà ad affrontarla, specie sul luogo di lavoro. Uno su due nemmeno parla dei diritti che gli spetterebbero per legge, tra “pudori” psicologici e il timore di perdere la propria occupazione o magari di diventare vittima di qualche sorta di mobbing.

Questo viene riassunto dall’Apmar nell’esigenza, tra l’altro, di una “medicina di genere”, dinanzi al dolore e alle malattie reumatiche. Si tratta di uno dei molti aspetti dell’approccio “personalizzato” e “integrato”, da tempo perorato in ogni “linea guida” sulla terapia antalgica. Lo reclamano, largamente inascoltate, tutte le realtà associative che si occupano di dolore, lo spiegano i portali specializzati, perfino alcuni libri recenti : il nemico numero uno della lotta al dolore è il silenzio. Ė un problema che chiama alla responsabilità la collettività e ciascuno, a iniziare dai professionisti della salute e dagli stessi pazienti.    

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