Per scongiurare la temuta “apocalisse antibiotica”", quel tragico scenario dominato da “superbatteri” resistenti ai farmaci, si stanno sviluppando nuove soluzioni e tecnologie. Come la speciale “cuffia” che avvolge pacemaker e defibrillatori impiantabili capace di rilasciare antibiotici. Si tratta di un dispositivo che si è dimostrato in grado di ridurre significativamente le infezioni associate agli interventi chirurgici, che in alcune categorie di pazienti calano anche del 90 per cento. Un risultato eccezionale presentato in contemporanea al congresso dell’American College of Cardiology a New Orleans e pubblicato sul New England Journal of Medicine.
Lo studio che ne ha dimostrato le potenzialità ha coinvolto 256 ospedali e 776 cardiologi in Usa, Europa (Italia compresa), Asia e Nuova Zelanda. E' durato tre anni ed è statosvolto su 7mila pazienti, divisi in due bracci: nel primo i dispositivi erano stati impiantati con modalità tradizionali, nel secondo con la protesi avvolta dalla speciale “cuffia”, la membrana TyRx, che rilascia in maniera costante per circa sette-dieci giorni due antibiotici, rifampicina e minociclina. La “cuffia” viene poi assorbita in circa nove settimane. Ebbene, la percentuale di infezioni batteriche è stata abbattuta al 61 per cento se si conteggiano anche i pazienti a bassissimo rischio infettivo, ma è arrivata fino al 90 per cento per quei pazienti che per condizioni cliniche e altre cause hanno invece un rischio alto.
In Italia per questo tipo di infezioni si spendono 125 milioni di euro l’anno, con un alto rischio per i pazienti. “Le infezioni dei pazienti con un dispositivo elettronico impiantato (Cied) sono un rischio non solo per i pazienti ma anche per i sistemi sanitari in quanto determinano elevatissimi costi legati alla degenza ospedaliera, alla terapia antibiotica prolungata, alla necessità di espiantare il dispositivo e gli elettrocateteri e di reimpiantarlo successivamente”, spiega Giuseppe Boriani, direttore Cardiologia Università di Modena e Reggio Emilia. “Pertanto strategie associate a una riduzione del rischio di infezioni costituiscono un buon investimento per i sistemi sanitari”, aggiunge.
In generale, il nostro paese ha il triste primato in Europa delle morti da resistenza agli antibiotici: oltre 10mila decessi ogni anno, su 33 mila circa in Europa, secondo un’indagine presentata a Milano nel VII Congresso Internazionale AMIT. In Italia, secondo l'Istituto superiore di sanità(Iss), le infezioni ospedaliere hanno un’importanza anche maggiore di tante altre malattie non infettive. Su 9 milioni di ricoveri in ospedale, ogni anno si riscontrano da 450mila a 700mila casi, pari al 5-8 per cento di tutti i pazienti ricoverati. Nel 2050 le infezioni batteriche saranno la principale causa di decessi. “Qualunque tipo di infezione, dalle più banali come semplici infezioni cutanee o urinarie, a infezioni gravi, quali polmoniti e sepsi - dichiara Marco Tinelli, presidente del Congresso AMIT - può essere causato da batteri antibiotico-resistenti. Sembra un paradosso, ma anche una persona che non abbia mai assunto antibiotici corre il rischio di avere un'infezione da batteri resistenti”.