Sono stati già legati a un aumento dei livelli di colesterolo, allo sviluppo di alcuni tumori e all’infertilità. Ora tra gli effetti dei Pfas (sostanze perfluoro-alchiliche) va aggiunto anche il rischio osteoporosi. Infatti, una ricerca coordinata da Carlo Foresta, ordinario di endocrinologia presso l'Università degli Studi di Padova, ha rilevato che i Pfas interferiscono anche con il recettore della vitamina D, altrimenti detta “vitamina del Sole”, favorendo l’osteoporosi. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Endocrine. I Pfas sono una famiglia di composti prodotti da decenni come sostanze idro e olio repellenti utilizzate nell’industria degli arredi e del vestiario. Per la loro resistenza termica vengono anche utilizzati come componenti delle schiume ignifughe. Studiati attentamente solo negli ultimi anni, i Pfas si sono rivelati pericolosi per la salute.
In alcune zone del Veneto è stato rilevato un importante inquinamento da Pfas nel territorio, soprattutto nelle falde acquifere delle province di Vicenza, Padova e Verona. E proprio a Padova oltre 500 esperti si sono riuniti la scorsa settimana per un convegno presieduto da Foresta per discutere del frequente riscontro di ridotti livelli di vitamina D nella popolazione italiana. Si stima che l’80% dei connazionali sia carente di vitamina D e sono sempre più evidenti le ricadute non solo come causa dell’osteoporosi, ma come fattore che associa molte patologie come malattie degenerative, quali l'Alzheimer e il Parkinson, le patologie polmonari e il diabete. La vitamina D per l’80% si forma attraverso l'esposizione al sole ed è contraddittorio che in Paesi mediterranei come l'Italia e la Spagna si sia verificata una condizione generalizzata di ipovitaminosi D. Eppure, nonostante l'incremento nell'utilizzo di farmaci per la supplementazione di vitamina D, passati dal 63esimo posto nel 2012 al sesto nel 2018 nella classifica dei medicinali più acquistati in Italia, le patologie correlate a bassi livelli di vitamina D continuano ad aumentare.
Gli studi condotti da Foresta hanno dimostrato come i Pfas interferiscono con il recettore della vitamina D, inducendo una ridotta risposta delle cellule scheletriche a questo ormone, che si manifesta con una minor mineralizzazione ossea. Questi risultati suggeriscono un possibile ruolo degli inquinanti nella patogenesi dell’osteoporosi. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno valutato la densità dell'osso in 117 giovani maschi tra 18 e 21 anni esposti all'inquinamento da Pfas. “Confrontando i risultati con quelli ottenuti in un analogo gruppo di controllo di giovani non esposti a questo inquinante - spiega Foresta - è emerso che negli ragazzi esposti la densità minerale ossea era significativamente inferiore rispetto ai controlli. Questi risultati suggeriscono un’interferenza dei Pfas con lo sviluppo scheletrico, così come altri interferenti endocrini non considerati in questo studio. Nel 24% dei soggetti esposti si osservava infatti una maggior frequenza di osteopenia e osteoporosi, rispetto al 10% dei soggetti di controllo”.