Da oggi non dovrebbero esserci più dubbi sul ruolo protettivo della cardioaspirina per il cuore e il cervello di chi ha subito un infarto o un ictus. Uno mega-studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Humanitas di Milano.
), coordinati dal cardiologo e docente Giulio Stefanini, ha dimostrato che l’acido acetilsalicilico è davvero un pilastro della prevenzione secondaria nei pazienti che hanno avuto un evento cardiovascolare. I risultati, pubblicati sulla rivista Lancet, confermano una volta per tutte che la cardioaspirina rimane il farmaco antiaggregante di riferimento per la prevenzione cardiovascolare secondaria.
Lo studio è una meta-analisi condotta su 9 trial realizzati negli ultimi 30 anni che hanno messo a confronto diretto la cardioaspirina con i nuovi farmaci antiaggreganti su una popolazione di oltre 40mila pazienti. In particolare, nella ricerca sono state messe a confronto le tienopiridine, farmaci antiaggreganti in grado di inibire l'attività del P2Y12 (un recettore presente sulle piastrine) con la cardioaspirina, che dalla prima si differenzia nel minidosaggio. Ebbene, i risultati mostrano chele tienopiridine, famiglia di farmaci a cui appartiene il clopidogrel, non danno benefici sostanziali rispetto alla cardioaspirina, che dunque rimane il farmaco antiaggregante di riferimento per la prevenzione cardiovascolare secondaria. “Tutti i pazienti in prevenzione secondaria devono assumere un antiaggregante”, dice Giulio Stefanini, cardiologo di Humanitas e docente di Humanitas University.
“Abbiamo cercato di rispondere alla domanda se questi nuovi farmaci antiaggreganti diano o meno benefici paragonati alla cardioaspirina, focalizzandoci su degli endpoint molto significativi per il paziente, ovvero l'impatto sulla mortalità e sul rischio di un nuovo infarto o ictus”, aggiunge. I risultati hanno evidenziato che i benefici della terapia con tienopiridine sono marginali rispetto a quelli con la cardioaspirina. “Per prevenire un solo infarto del miocardio abbiamo bisogno di trattare con i nuovi antiaggreganti 244 pazienti, un numero eccessivamente alto per giustificare la nuova terapia in sostituzione della cardioaspirina - conclude Stefanini - oltretutto senza alcun effetto sul rischio di mortalità”.