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Ridurre di un solo giorno la settimana lavorativa, mantenendo invariato lo stipendio, fa stare bene i dipendenti e li rende anche più produttivi per l’azienda. A stabilirlo una volta per tutte è il più grande esperimento mai condotto sulla settimana lavorativa di 4 giorni, alla fine del quale la maggior parte delle aziende e dei dipendenti hanno deciso di continuare a mantenere il nuovo regime. Il progetto pilota è stato organizzato nel Regno Unito dal gruppo di advocacy 4 Day Week Global, in collaborazione con la società di ricerca Autonomy e gli scienziati del Boston College e dell'Università di Cambridge. In totale sono state coinvolte 61 aziende e quasi 3mila dipendenti.

Alla fine dell'esperimento i dipendenti hanno riportato una vasta gamma di benefici legati al sonno, ai livelli di stress, alla vita personale e alla salute mentale. Il 15% dei 3mila dipendenti coinvolti ha addirittura affermato che “nessuna somma di denaro” li convincerebbe a tornare indietro alal settimana lavorativa di 5 giorni. Durante i sei mesi di prova i ricavi delle aziende “sono rimasti sostanzialmente invariati”, ma sono aumentati in media del 35% se paragonati a quelli degli anni precedenti riferiti allo stesso periodo. Inoltre, le dimissioni dei dipendenti sono diminuite. Non stupisce quindi che delle 61 aziende che hanno preso parte alla sperimentazione, 56 continueranno a mantenere in piedi il modello dei 4 giorni lavorativi a settimana anche dopo la fine del progetto pilota. Di queste 18 hanno dichiarato chiaramente che i nuovi turni sarebbe rimasti permanenti. Due società stanno ora estendendo il programma, mentre solo tre non sono intenzionate a portare avanti il programma.

In Italia la settimana lavorativa, solo per alcune aziende, e in specifici settori, si è un po' modificata con la pandemia e l'adozione dello smartworking. In alcune aziende, ma molto poche, il lavoro da casa è diventata la regola. Ma non c’è stata alcuna modifica strutturale alla durata della settimana lavorativa. Eppure, anche gli italiani mostrano un minor attaccamento alla scrivania e allo stipendio e più attenzione alla qualità della vita. Specialmente quelli più giovani, che iniziano a chiedere alle aziende maggiori benefit. Una ricerca condotta da Fitprime (https://fitprime.com/), azienda italiana specializzata sul benessere psico-fisico, condotta su 20mila dipendenti di piccole e medie imprese, ha rilevato che ben 1 giovane lavoratore su 3 rinuncerebbe al “buono pasto” per ottenere ad esempio una sorta di “buono sport”, come un abbonamento in palestra. “Il Covid ha fatto riscoprire principalmente alle nuove generazioni l’importanza di una qualità della vita e di un rapporto tra il tempo di vita e il tempo del lavoro che non può più essere sbilanciato”, commenta Matteo Musa CEO Fitprime. Alle aziende, quindi, si chiede di stare al passo senza però rinunciare alla produttività e ai guadagni.

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