Attraverso un prelievo del sangue è possibile determinare la presenza di particolari anticorpi, anticorpi anti-CysR, in grado di predire anzitempo la prognosi della persona affetta da nefropatia membranosa e la sua risposta alle terapie. Si tratta di una forma rara di malattia renale, detta anche glomerulonefrite membranosa, che compromette la funzione del rene fino a rendere necessaria la dialisi o il trapianto. A scoprire un nuovo potenziale biomarcatore della malattia è uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri e pubblicato sull’American Journal of Kidney Disease.
Lo studio portato avanti dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri è stato condotto su 113 pazienti e ha dimostrato che elevati livelli di anticorpi anti-CysR nel sangue comportano una malattia più severa. Lo sviluppo della nefropatia membranosa è da ricondursi ad una disfunzione delle cellule B che, solitamente, proteggono l’organismo dalle infezioni grazie alla produzione di anticorpi contro i patogeni, responsabili della malattia. Nel contesto delle malattie autoimmuni, le cellule B producono anticorpi che attaccano i tessuti sani.
Nella nefropatia membranosa questi autoanticorpi attaccano i glomeruli renali (unità funzionali del rene responsabili del processo di filtrazione) e li riconoscono per errore come estranei. L’infiammazione che ne deriva danneggia i reni alterandone la corretta capacità di filtraggio e porta a una perdita massiva di proteine nelle urine (proteinuria), che a lungo andare può comportare la perdita di funzionalità del rene.
I risvolti di questo studio sono molteplici: monitorare l’andamento della malattia e prevenire l’insorgenza di complicanze; aiutare a indirizzare i trattamenti in modo più preciso e personalizzato, aumentando l’efficacia e riducendo gli effetti collaterali; sviluppare nuovi farmaci che bloccano selettivamente le cellule B produttrici degli anticorpi anti-CysR.