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Ogni anno sono circa 200mila gli italiani che vanno all'estero per ricostruzioni protesiche fisse e mobili, impianti e cure articolate, allettati dalle pubblicità sui social e dai costi contenuti. Albania, Croazia, Romania, Turchia sono tra le mete più scelte. Un trend in aumento, stando ai dati del report Osservatorio Compass sul turismo odontoiatrico, secondo cui il 36% degli italiani sarebbe disposto ad andare oltre confine per protesi, impianti e terapie parodontali, ma purtroppo in 1 caso su 3 al rientro compaiono problemi che rendono necessario un nuovo intervento, vanificando il risparmio e le cure. Lo hanno segnalato gli esperti della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP) durante il 23esimo congresso che si è tenuto di recente a Rimini.

“Il turismo dentale è un fenomeno che purtroppo non accenna a scomparire, anzi", osserva Francesco Cairo, presidente SIdP e professore di Parodontologia all’Università di Firenze. "I rischi non mancano: materiali scadenti, studi odontoiatrici non adeguatamente sicuri, carenze di farmaci possono inficiare il risultato finale, esponendo a pericoli come ascessi, infezioni, difficoltà di masticazione che poi devono essere risolti al rientro in Italia. All’estero, infatti, spesso si ‘taglia’ proprio sui tempi di guarigione e sui controlli post-operatori”.

Gli esperti della British Dental Association qualche tempo fa avevano intervistato i dentisti inglesi scoprendo che il 94% di loro aveva trattato pazienti che si erano rivolti all’estero per cure dentali; nel 60% dei casi gli eventi avversi erano gravi, per esempio si erano verificate infezioni o ascessi. "Si stima che ci sia un 20% di casi – conclude Cairo - in cui si utilizzano materiali scadenti o non conformi e un altro 15% di casi in cui le protesi non sono funzionali, sono adattate in fretta e furia, o magari ancora sono applicate a tessuti di supporto sono infetti. Adottare la soluzione più veloce e a basso costo non è sinonimo di sicurezza, né di reale risparmio”.

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