“E’ il male del secolo”. Lo si dice per la depressione, e per la verità anche per altre patologie, ma a leggere i dati rilanciati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che in questi giorni ha celebrato la propria “Giornata”, dedicandola proprio a essa, è un epiteto amaramente meritato. “E’ la causa principale di malattia e disabilità al mondo”, scrive l’Oms, segnalando come la depressione sia tuttora un problema pericolosamente sottovalutato, a fronte di un rapido aumento della sua incidenza. Il 50% dei pazienti non accede ad alcuna cura, e perfino nei Paesi ricchi i sistemi sanitari non dedicano alla depressione più del 5% delle proprie risorse.
Tale contesto sottolinea l’importanza delle novità scientifiche orientate a facilitare la diagnosi e l’appropriatezza terapeutica. Un annuncio interessante proveniente da un’Università texana è stato pubblicato sulla rivista “Psychoneuroendocrinology”, che ha approfondito l’analisi di una particolare proteina infiammatoria, la cosiddetta “proteina C reattiva”, captabile con una banale analisi del sangue.
Il suo nesso con gli stati depressivi era già stato identificato in recenti ricerche. La novità è ora che su tale presupposto è stata riscontrata la possibilità di predire in anticipo la combinazione di farmaci e il dosaggio più adatti al singolo paziente, tema tra i più complessi e delicati nel percorso terapeutico. I test per ora sono stati realizzati solo su alcune molecole e serviranno altri riscontri tuttavia le prospettive sono importanti proprio in relazione alla facilità dei rilevamenti dai test del sangue a fronte dell’estensione del fenomeno e della numerosità delle patologie di cui la depressione è “causa principale”, come sottolinea l’Oms.
Agli studi fin qui realizzati si è aggiunta recentissimamente una novità proveniente dalla ricerca italiana e riferita all’Alzheimer. Da uno studio condotto da istituti romani, apparso sulla prestigiosa “Science”, è emerso che la malattia, caratterizzata da irreversibili perdite di memoria, non avrebbe origine nella stessa area “mnemonica” del cervello, bensì piuttosto in quella “emotiva”, l’“area tegmentale ventrale”, che rilascia la “dopamina”, il cosiddetto “neurotrasmettitore dell’amore”. Ripristinandone i livelli, gli scienziati italiani hanno scoperto che le cavie recuperavano, al contempo, il ricordo e la motivazione.
Del peso specifico della depressione si nel frattempo accorto il business dell’Information Technology: al XXV Congresso dell’Associazione Europea di Psichiatria (Epa), svoltosi nei giorni scorsi a Firenze, ha tenuto banco ad esempio il dato riferito alle migliaia di “app” realizzate proprio per rispondere ai bisogni legati alla salute mentale, che rappresentano addirittura il 6% dei prodotti che appaiono negli appositi negozi informatici. Insomma il problema della depressione è serio, globale, collettivo e foriero di altri problemi di salute, e quindi non va gestito in silenzio. I modi per affrontarlo, prima e bene, ci sono, e sempre più sofisticati.