MENU
C’è un “mantra” che si ripete nel mondo della salute: più precoce è la cura migliori sono i risultati. Ed è vero: troppo spesso le diagnosi tardive rendono meno efficaci i trattamenti e le possibilità di guarigione. A volte, però, accade il contrario e si esagera per eccesso.

C’è un “mantra” che si ripete nel mondo della salute:  più precoce è la cura migliori sono i risultati. Ed è vero: troppo spesso le diagnosi tardive rendono meno efficaci i trattamenti e le possibilità di guarigione. A volte, però, accade il contrario e si esagera per eccesso. Ne è convinta la Fondazione Gimbe - istituita per sostenere la formazione continua degli operatori sanitari, migliorare la qualità metodologica della ricerca e l’interazione con le decisioni professionali e di politica sanitaria - che  proprio di recente ha lanciato un allarme in materia di chirurgia, contestando l’eccesso di esami prima di un intervento, facendo anche riferimento alle “linee guida” dell’autorità britannica in materia. 

“L'utilizzo routinario di test preoperatori per la chirurgia elettiva non incide sulla gestione chirurgica e il riscontro di risultati falsamente positivi genera un ulteriore sovra-utilizzo di prestazioni, come terapie inappropriate, consulti specialistici ed esami invasivi che possono determinare danni ai pazienti”, denuncia Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione. Non è un monito da poco, soprattutto se si tiene conto delle conseguenze dichiarate: sprechi economici e di tempo, “ritardi nel processo chirurgico” e, infine, danni  per il paziente.

Il Gimbe fa riferimento per inciso anche alla norma contenuta all’articolo 5 della legge n. 24/2017 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 17 marzo), dove il dimostrato rispetto per le “linee guida elaborate da enti e istituzioni pubbliche e private nonché da società scientifiche, oltre che da buone pratiche clinico-assistenziali” varrebbero come ciambella di salvataggio contro eventuali accuse di imperizia. Il tema è quello - delicatissimo – della responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie. Il punto nodale è che in Italia le buone pratiche ci sono, le linee guida formalmente ancora no.

In mancanza di meglio Gimbe fa riferimento alle direttive  del  National Intitute for Health and Care Excellence, che parte da un suggerimento solido e pieno di buon senso: “Includere i risultati di tutti i test pre-operatori effettuati dal medico di famiglia quando si richiede un consulto chirurgico, oltre che considerare tutti i farmaci assunti dal paziente prima di effettuare qualsiasi test pre-operatorio, proprio per evitare inutili duplicazioni”. Si può fare. Si dovrebbe fare. Anche senza guideline.

Articoli Correlati

x