Li hanno presi, frullati, liofilizzati e chissà che altro. Poi li hanno lanciati nello spazio. E loro - tomi tomi, avrebbe commentato Totò - hanno mantenuto integralmente la loro funzionalità biologia nell’arco di nove mesi, con tassi di fecondazione e nascita analoghi a quelli “terrestri”, tant’è che al ritorno sul pianeta hanno procreato prole sana e a sua volta fertile, generando poi “nipoti” altrettanto sani. Il tutto in un ambiente spaziale bombardato da radiazioni circa un centinaio di volte superiori rispetto a quelle registrate sulla superficie terrestre.
Protagonisti della singolare avventura gli spermatozoi di topolini al centro di una costosa ricerca giapponese che ha coinvolto la Stazione Spaziale Internazionale (Iss) nel tentativo di mettere un punto fermo sulle prospettive anche sanitarie di un’eventuale vita extraterrestre. Il tema è serio e affascinante, anche per la ricerca medica, tanto da meritare la pubblicazione nella rivista scientifica internazionale Pnas, sebbene a detta degli stessi scienziati dell'Università di Yamanashi permangano “quesiti e dubbi da sciogliere”.
Lo studio sembrerebbe comunque dimostrare che la riproduzione extraterrestre è possibile tra i mammiferi e che esiste anche un potenziale per la costruzione di una “banca del seme”, analoga a quella allestita per le piante in un’isola norvegese.
Certo i dubbi ci sono, ma forse c’è anche tutto il tempo per cercare di risolverli: “Se i campioni di sperma dovessero essere conservati nello spazio per periodi più lunghi è probabile che i danni genetici aumenterebbero e supererebbero le capacità riparative degli ovuli”, ipotizzano ad esempio gli studiosi nipponici. Gli stessi hanno però già ipotizzato qualche soluzione, suggerendo che uno scudo di ghiaccio potrebbe servire a proteggere i campioni dalle radiazioni.
E c’è anche chi nota che l’orbita dell’Iss non è abbastanza lontana da consentire la simulazione di una sperimentazione “lunare” o ancor più remota. “L’orbita dell’Iss si trova sotto la protezione della fascia di Van Allen, il campo magnetico che devia le radiazioni più alte evitando che colpiscano la Terra”, ha infatti commentato uno scienziato alla Bbc, osservando che il problema non sta solo nel concepimento, ma anche nella protezione della gestante nell’arco dei nove mesi.
Difficile per ora prevedere le ricadute immediate dello studio per la ricerca medica. Sembra plausibile però ritenere che siano state poste le basi per evitare l’estinzione delle varie specie quando il sole finirà il suo ciclo: un appuntamento che gli esperti collocano tra circa 5 miliardi di anni.