La diagnosi precoce è sempre cruciale, e lo è in particolare per una patologia come il Parkinson, in cui il ritardo è un problema assai diffuso. Quando viene effettuata, larga parte dei neuroni dopaminergici – fondamentali per il movimento – risulta spesso già compromessa, mettendo a serio rischio l’efficacia dei trattamenti esistenti, potenzialmente capaci di prevenire o almeno ritardare la malattia. In tutto questo sta l’importanza delle novità sulla diagnostica.
L’ultima è annunciata (tramite una pubblicazione sulla rivista Brain, nonché presso il recente Congresso mondiale sul Parkinson, tenutosi a Vancouver) da un neurologo italiano, Lazzaro Di Biase, dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, in collaborazione con l’Università di Oxford. Si tratta di un semplice orologio da polso, già brevettato, che consentirebbe di rilevare in una decina di secondi non solo il tremolio delle mani (che può derivare da una pluralità di motivi), ma anche l’eventuale presenza specifica del morbo.
“Da anni i neurologi tentavano di arrivare a questo strumento, un indice diagnostico non invasivo, con un'accuratezza vicina al 92%”, rivendica Di Biase, ricordando le tecniche onerose (foriere anche di lunghe liste d’attesa) finora in uso, come lo “Spect cerebrale”. Qui si tratterebbe invece di un semplice dispositivo che “necessita solo di un accelerometro che costa dai 3 ai 15 euro”.
Una buona notizia, insomma, per i circa i 300mila malati di Parkinson, e soprattutto per quelli futuri. Il tema dell’orologio ha suscitato del resto altre novità tecnico-scientifiche. Nei mesi scorsi un documentario della BBC (della serie chiamata “The Big Life Fix”) ha svelato i buoni esiti dell’esperimento di un altro orologio su misura, che aiuterebbe i malati a recuperare la capacità di scrivere e disegnare, limitando i tremori e incrementando le capacità manuali di controllo.
Applicazioni diagnostiche e fisiologiche innovative, ma anche tecniche psicologiche di recupero cognitivo. L’orologio è protagonista, da tempo, di sperimentazioni efficaci nell’ambito di varie patologie neurodegenerative, incluso l’Alzheimer: sin dagli anni ’80, in Svizzera, una ricercatrice di origine italiana, Angela Furlan, sperimentò una metodica psicoterapeutica incentrata proprio sul ruolo fondamentale delle capacità di controllo temporale.