Sulla qualità della nostra alimentazione conta anche l’orario, con tutto quel che consegue per il peso-forma e molto altro. Una ricerca sperimentale dell’Università della Pennsylvania, presentata nei giorni scorsi al Congresso Mondiale “Sleep 2017” a Boston, ha dimostrato più che mai il nesso tra la tempistica dei pasti e una catena di effetti per la salute.
Il “background” della ricerca era nel pregresso di conoscenze proprio sui disturbi del sonno - più che sul cibo di per sé – ossia sul loro impatto sui problemi di peso e sul processo metabolico nel suo insieme. E si è incrociato sistematicamente tale “acquis” con il tema di “quando si mangia”. Il gruppo di volontari è stato quindi sottoposto per otto settimane a un regime alimentare (tre pasti completi e un paio di spuntini) che si esauriva tra le 8 del mattino alle 19 di sera, e per altre otto (col “cuscinetto” di un intervallo di due settimane) la medesima dieta è stata traslata in avanti di quattro ore.
L’effetto è stato evidente. Mangiando più tardi il peso aumentava, e per giunta si innescavano altri profili metabolici negativi per la salute, con tra l’altro l’aumento della produzione di insulina, di glucosio a digiuno, di colesterolo e di trigliceridi, e quindi di rischi di diabete, problemi cardiovascolari e perfino respiratori.
Su tutto questo sorge il sospetto di una possibile controindicazione. Quella secondo cui il mangiare “troppo presto” possa incentivare l’abitudine, deleteria per la salute, di mangiare in uno stato pseudo-sonnambolico, in tarda notte. E invece no, al contrario il consumo diurno sembra agevolare conseguenze anche ormonali che “saziano” meglio il corpo, inibendo le irregolarità alimentari.
“Cambiare le abitudini alimentari non è mai facile, ma mangiare prima può valere davvero la pena per prevenire effetti sanitari cronici”, dicono gli studiosi. Il messaggio universale è dunque che anticipare un pochino i pasti, rispetto alle proprie consuetudini, non può far altro che bene.