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Uno studio australiano condotto su alcuni uomini obesi ha evidenziato come una periodica interruzione della dieta possa aumentarne l'efficacia. Capire le ragioni di tale fenomeno può essere del resto cruciale alla comprensione generale dei nostri meccanismi metabolici.

Suona come un paradosso, e invece sta emergendo a verità dai sempre più solidi riscontri scientifici. La periodica interruzione di una dieta non la vanifica, bensì può anzi risultare il viatico a una sua più alta efficacia, sia nel breve che nel lungo periodo. L’ultimo studio in proposito è dell’Università della Tasmania (in collaborazione con quella di Sidney), finanziato da un’autorità pubblica australiana (la National Health and Medical Research Council) e pubblicato sull’International Journal for Obesity.

L’esperimento ha coinvolto 51 uomini obesi, tutti sottoposti a un regime dietetico per sedici settimane, ma con una variante. Alcuni lo hanno seguito in maniera consecutiva, altri lo hanno seguito con alternanze bi-settimanali, e cioè osservavano la dieta per quindici giorni, e nei successivi quindici la sospendevano, benché senza strafare, ossia seguendo ritmi alimentari “normali”, limitati solo all’imperativo di non ingrassare, sicché il percorso complessivo, così “ammorbidito”, si è protratto per loro per un totale di trenta settimane.

Strano ma vero, l’esito è stato una discrepanza notevole in favore dei secondi, con una perdita di peso ben superiore. Inoltre, hanno allargato tale vantaggio nel tempo, tant’è che a un riesame effettuato sei mesi dopo la conclusione della dieta hanno ribadito un dimagrimento medio di otto chili in più, palesando quindi anche rischi inferiori di recupero del sovrappeso post-dieta.

Si tratta ora di capire il perché di tale fenomeno, la cui valenza sembra comunque oggettiva: “Le interruzioni della dieta sono decisive per il buon esito della stessa”, afferma Nuala Byrne, coordinatrice dello studio, ricordando gli analoghi esiti di altre recenti ricerche. Capire le ragioni di tale successo può essere del resto cruciale alla comprensione generale dei nostri meccanismi metabolici.

Gli studiosi australiani chiamano allora in causa “l’ambito energetico” implicato nel metabolismo, reso fin troppo “dormiente” durante la dieta, perciò almeno in parte vanificandola. Al contempo, esisterebbe una sorta di antica “reazione alla fame”, ossia un meccanismo di sopravvivenza innescato nei millenni dagli esseri umani, orientato proprio a vanificare gli effetti della mancanza di cibo. Tutto questo significa che le diete troppo drastiche tendono a funzionare poco, perché avremmo dentro di noi gli “anticorpi” per neutralizzare almeno in parte le carenze alimentari. Percorsi più equilibrati, o per l’appunto “alternati”, permetterebbero viceversa di disinnescare le “autodifese dalla dieta”, garantendone quindi l'obiettivo.

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