MENU
Un paradosso che evidenzia forse qualche problematica in merito alla sedicente “sanità migliore al mondo” e chiama all’attenzione i decisori istituzionali e gli addetti ai lavori, anche al di là dello stretto ambito sanitario.

Si dice che “la salute è la prima cosa”, e in effetti se ne scrive sempre di più, eppure c’è stato curiosamente un sostanziale silenzio mediatico su un recente corposo rapporto dell’Istat, che racconta parecchio su come stanno gli italiani e dove stanno le criticità maggiori. Il dossier è centrato sugli anziani del Belpaese, comparandone le condizioni fisiche con quelle degli altri Paesi europei. In estrema sintesi (i dati raccolti si riferiscono prevalentemente al 2015), l’Italia si conferma ai primi posti nelle classifiche sulla longevità, ma al contempo la salute della popolazione anziana si rivela peggiore rispetto alle medie europee.

Un paradosso che evidenzia forse qualche problematica in merito alla sedicente “sanità migliore al mondo” e chiama all’attenzione i decisori istituzionali e gli addetti ai lavori, anche al di là dello stretto ambito sanitario. Nel dettaglio, una volta giunti ai 65 anni, gli italiani hanno mediamente una speranza di vita residua di quasi 19 anni tra gli uomini, e di oltre 22 per le donne, ossia circa un anno in più rispetto alla media dell’Unione Europea, dove ci collochiamo al terzo posto, dietro solo a Francia e Spagna.

Ma com’è la qualità della vita così lunga? Qui son dolori: l’Italia precipita ai livelli più bassi.

Alcuni dati: la speranza di vita “in buona salute” per i 65enni maschi italiani è di 13,7 anni, per i coetanei britannici si sale a 16,1. Tra le donne, la buona salute è concessa per altri 14,3 anni in Italia, mentre in Francia si sale a 19,3.

L’Istituto di Statistica sottolinea inoltre che il divario negativo non si determina subito: fino ai 74 anni le condizioni degli italiani risultano anzi nell’insieme migliori rispetto al resto d’Europa. E’ dopo i 75 che si determina lo scarto in materia di incidenza delle patologie croniche, in particolare dell’artrosi, che colpisce in prevalenza le donne. E’ come se fino a una certa età resistessero i benefici legati al clima e alla dieta mediterranea (che spingono anche il primato dei Paesi dell’Europa meridionale in tema di longevità), mentre all’apparire dei problemi più seri, con l’avanzare dell’età, l’Italia risultasse meno preparata degli altri.

In effetti, il rapporto conferma l’importanza di variabili economiche e di qualità dell’assistenza sanitaria sulla salute della popolazione. Nella fascia più povera la “multicronicità” colpisce il 55,7% degli anziani, tra i più ricchi si scende al 40%. Analogamente, essa colpisce il 56% nel Mezzogiorno, e solo il 42,7% al Nord. Scarti analoghi sono riscontrati per quanto riguarda l’incidenza delle malattie croniche gravi e delle situazioni di seria limitazione motoria. E sono dati del tutto paralleli, si noti, ai livelli di soddisfazione espressi sull’aiuto socio-sanitario ricevuto. Segnali da prendere dunque molto sul serio, che confermano il nesso tra le condizioni tendenziali di salute e la qualità dell’assistenza, di cui gli anziani hanno vitale bisogno. E data l’evoluzione demografica in atto, è un bisogno destinato a crescere.

Articoli Correlati

x