“Il problema è così grave da mettere a rischio le conquiste della medicina moderna”, scriveva già tre anni fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) prendendo il caso talmente sul serio da prospettare l’allarme di “un’era post-antibiotica” e produrre un voluminoso rapporto, destinato a governi e cittadini. Questo suggeriva sostanzialmente due cose: che non va fatto l’errore di mettere in discussione l’importanza della terapia antibiotica, imprescindibile in molti contesti e settori, ma che al contempo serve con urgenza un monitoraggio “coordinato e armonizzato” oltre che un salto in avanti nell’informazione ai cittadini.
A tale obiettivo è stato ultimato in questi giorni un Piano nazionale, sulla scia di consultazioni regionali, nonché un vero e proprio “decalogo” presentato al ministero della Salute, alla presenza della Fao e della stessa Oms, da parte del “Gruppo Italiano per la Stewardship Antibiotica”. Quest’ultima è una società scientifica orientata proprio a un approccio multidisciplinare al problema “attraverso il confronto equo tra specialisti e prescrittori”. La presenza degli attori internazionali è cruciale per la natura globale del fenomeno, che in altri Continenti assume proporzioni ancor maggiori, mettendo a rischio le eventuali buone pratiche locali.
La strategia comprende tra l’altro una catena di “laboratori sentinella” a livello ospedaliero, sistemi di coordinamento regionali e nazionale, standard uniformi di monitoraggio, programmi di formazione, aggiornamento e ricerca, metodi accelerati di diagnostica, un ambito di comunicazione tramite un apposito sito web. Su tutti, però, emerge la priorità di un buon uso individuale dei farmaci, e di una maggiore attenzione in proposito da parte dei medici di base.
“Abbattere l’uso scorretto, spesso dovuto alle cure fai da te, ma ottimizzare anche l’impatto terapeutico, soprattutto nei pazienti più a rischio, cercando di ricorrere alla terapia più adeguata e per il minor tempo possibile”, sintetizza Francesco Menichetti, Presidente del Gisa. Nel piano, si fissa l’obiettivo di un a riduzione dell’impiego degli antibiotici entro il 2020 di almeno il 10% in ambito territoriale, del 5% in ambito ospedaliero, e del 30 nel settore veterinario.
Il tema è serio, le stime riferiscono di 4 milioni di infezioni l’anno da germi antibiotico-resistenti in Europa, con la conseguenza di oltre 37mila decessi prematuri. L’Italia è amaramente ai vertici, con una proporzione di pazienti infetti che arriva al 10%, ossia circa 300mila persone, con proiezioni che vedono per il futuro un’ulteriore impennata del fenomeno, fino a superare le morti causate dai tumori. Drammi personali, alti costi, anche pubblici, per le infezioni, stimati sui 230 milioni di euro l’anno, più o meno gli stessi che vengono spesi per i piani vaccinali. Sui farmaci serve appropriatezza e aderenza terapeutica (e questo riguarda anche gli animali, specie di allevamento), col fai da te si rischia un abuso che finisce a vanificarli.
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