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La strada era e rimane lunghissima, le ultime novità annunciate dagli scienziati oltreoceano non trovano ancora consenso tra gli addetti ai lavori, e in ogni caso serviranno ancora anni di controprove e approfondimenti.

 

La strada era e rimane lunghissima, le ultime novità annunciate dagli scienziati oltreoceano non trovano ancora consenso tra gli addetti ai lavori, e in ogni caso serviranno ancora anni di controprove e approfondimenti. Nondimeno stanno emergendo alcuni esiti intriganti dalla ricerca i quali, se confermati, potrebbero rivoluzionare gli orizzonti della lotta all’Alzheimer. Che, insieme alle altre forme di demenza, colpisce oltre 1 milione e 200mila persone, con prospettive destinate ad aggravarsi con l’invecchiamento medio della popolazione.

Dall'Università californiana di Stanford arriva la notizia dell'esito di un esperimento, condotto su un gruppo (limitato) di 18 pazienti affetti dalla patologia, tra i 54 e gli 86 anni, sottoposti per un mese a infusioni settimanali di plasma da soggetti più giovani, tra i 18 e i 30 anni. La novità sta nell'effettuazione del test sulle persone, in quanto finora avevano essenzialmente interessato gli animali, lasciando parecchi dubbi sull'efficacia e sicurezza terapeutica nel passaggio all'uomo.

Il risultato annunciato è parzialmente positivo, riscontrando miglioramenti (rispetto a un gruppo di controllo sottoposto a placebo) quantomeno nell'esercizio di alcune azioni quotidiane, quali la spesa e la preparazione del cibo. Ancor più rilevante, non è emerso alcun temuto effetto avverso, sebbene i critici avvertano sull'ipotesi che tali infusioni possano condurre, nel tempo, a un'eccessiva stimolazione immunitaria, con eventuali effetti neurologici e danni ad altri tessuti.

Un'altra novità arriva dal Canada, dall'Università di British Columbia, a Vancouver, che, con una pubblicazione sulla rivista Nature, perora perfino l'ipotesi che l'Alzheimer possa essere “contagioso”, tramite proprio una trasfusione di sangue. L'ipotesi iniziale scaturiva dalla similitudine patogenetica con malattie da “prioni”, come la cosiddetta “mucca pazza”, potenzialmente trasmissibile (tant'è che per anni sono state vietate in Italia le donazioni da parte di soggetti presenti nel Regno Unito nel periodo di massima diffusione, circa una trentina d'anni fa).

Al dunque, per la prima volta (test analoghi non avevano dato in precedenza esiti significativi) è risultata a una sperimentazione animale la possibilità concreta di tale trasmissione. “Si è dimostrato che la proteina beta-amiloide penetra nel sangue e nel cervello da un altro topo e causa segni di Alzheimer”, annunciano gli scienziati. Serviranno altri riscontri, ma se emergessero conferme anche per le persone si aprirebbero spiragli inediti per la ricerca.

 

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