Dall’inizio dell’anno sono nati ben quattro milioni di bambini nel pianeta e fanno parte di una generazione che potrebbe affacciarsi al ventiduesimo secolo. Si tratta però di una previsione solo virtuale, che in molte aree rappresenta un orizzonte irraggiungibile. Un comunicato lanciato all’alba del 2018 dall’Unicef (tramite le sue varie ramificazioni nazionali, incusa quella italiana) rilancia l’allarme sui livelli ingiustificabili della mortalità infantile nel mondo.
Le cifre sono quelle di un’autentica strage quotidiana, anche considerando che circa il 90% delle nascite ha luogo in zone ad alta incidenza di povertà. In India, ad esempio, si stima che in un giorno nascano oltre 69mila bambini, sette volte in più rispetto ai più estesi Stati Uniti. Il risultato è che ogni giorno muoiono circa 2.600 bambini nelle prime ventiquattr’ore. E quelli che spirano nel primo mese costituiscono la metà dei decessi nei primi cinque anni di vita.
Raccontato così può sembrare un fenomeno inevitabile sui grandi numeri. Ma il nodo è proprio qui: non è affatto vero. La gran parte di questi decessi, infatti – si stima l’80% dei casi - è determinata d a cause prevedibili e curabili, come la nascita prematura o qualche infezione alle vie respiratorie. Situazioni largamente trattabili grazie agli strumenti della medicina contemporanea cui però, drammaticamente, milioni di famiglie non hanno ancora accesso.
A dimostrazione che molto si può fare, i tragici numeri della mortalità infantile (5,6 milioni nei primi cinque anni di vita nel 2016), che segnalano al contempo un miglioramento senza precedenti rispetto a un ventennio fa, quando i decessi erano doppi. Si tratta allora di accelerare. E la stessa Unicef lancia una nuova campagna globale in proposito (“Every Child Alive”), per estendere le possibilità di cura a prezzi accessibili, anche sul fronte dei farmaci. “Abbiamo esteso ai Governi l’appello ad unirsi a questa battaglia per salvare le vite di milioni di bambini, dando il loro supporto con soluzioni economiche, ma concrete”, spiega incalza Giacomo Guerrera, presidente della sezione italiana Unicef.
Il tema naturalmente non è solo sanitario, coinvolgendo l’intero ambito delle diseguaglianze, su scala globale ma anche all’interno dei singoli Paesi. Ed è un tema non ideologico, perché non chiama in causa “l’economia di mercato” in sè – come ha spiegato in una recente conferenza italiana il premio Nobel per l’economia, Joseph Stiglitz – ma le sue regole mutate negli ultimi anni, che in molti contesti hanno allargato la forbice tra i pochi fortunati e i tantissimi indigenti, anziché ridurla”. Niente di “ineluttabile” cui doversi rassegnare: “L’aumento del divario tra ricchi e poveri non è un fenomeno inevitabile - è il j’accuse dell’economista americano - ma la conseguenza di scelte che avevano proprio quell’obiettivo”.