Stavolta hanno ragione quelle fiabe che tramite molteplici e simpatici personaggi “riscattano” gli spauracchi antichi e recenti sul mondo dei roditori. I timori legati all’igiene sono comprensibili e fondati, tuttavia alcune leggende secolari sul loro essere vettori di atroci patologie risultano sovente infondate.
Una ricerca italo-norvegese, svolta tra le università di Oslo e Ferrara, pubblicata sulla rivista Pnas, li “scagiona” infatti anche da una delle pandemie più devastanti della storia: la “peste nera” che esplose a metà del quattordicesimo secolo in Europa. Il nome stesso della patologia era ispirato “topo nero” delle città: l’epidemia fece nell’arco di meno di otto anni circa 25 milioni di morti, pari a circa un terzo della popolazione continentale dell’epoca.
Superate da un po’ le credenze popolari che prendevano di mira streghe o minoranze religiose, adesso arriva l’assoluzione anche dei topi. I ricercatori hanno riesaminato i dati trasmessi su nove città europee, verificando e confrontando diverse ipotesi, dalla trasmissione aerea, magari veicolata dagli animali, a quella di pidocchi e pulci presenti sugli esseri umani e sui loro vestiti.
È emerso, con alta probabilità statistica, un andamento che seguiva “il modello dei parassiti umani”, a detta degli studiosi, che parlano di “conclusione molto chiara: sono stati i pidocchi umani”, notando al contempo l’alta improbabilità di una trasmissione così rapida tramite i ratti.
Talvolta il quesito, in questi casi, è “a cosa serva oggi” questo tipo di ricerche. Ebbene, c’è una risposta generale, e una molto specifica. La prima è che, sulla salute come su tutto il resto, la conoscenza del passato è cruciale per la comprensione del presente, incluse le odierne pandemie. La seconda è che la peste appare periodicamente ancora, in Asia, Africa e America Latina: tra il 2010 e il 2015 sono stati conteggiati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità 3.248 casi di contagio e 584 decessi.