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La Sanità italiana non è uguale per tutti, anzi è talmente sperequata che si riflette in differenze significative anche sulla speranza di vita delle persone.

È stata una amara conferma della più odiosa ed eloquente delle diseguaglianze: la Sanità italiana non è uguale per tutti, anzi è talmente sperequata che si riflette in differenze significative anche sulla speranza di vita delle persone. I dati sono stati illustrati dall’Osservatorio Nazionale della Salute, ideato e presieduto da Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità.

Tra le maggiori discrepanze rilevate dal rapporto, spunta quella che oppone i laureati ai non laureati. La differenza è significativa soprattutto tra gli uomini: i primi hanno una durata della vita media di 82 anni, per i secondi crolla a 77. Naturalmente a fare la differenza non è il “pezzo di carta” in sé, ma quel che tende a rilevare sulla situazione socio-economica della persona. Il dato conferma che le fasce più deboli in rapporto alla situazione socio-economica vivono di meno, e per giunta vivono peggio, palesando dati peggiori per quel che riguarda, tra l'altro, le cronicità e l'obesità.

Altrettanto grave quanto significativo il dato sulle rinunce alle cure. Accade almeno una volta nella vita di rinunciare ai trattamenti per motivi economici al 69% della popolazione nei ceti deboli, il doppio rispetto agli altri. Pesanti anche le differenze regionali. Al nord-est la speranza di vita media per gli uomini è di 81,2 anni, per le donne 85,6, mentre nel mezzogiorno si scende rispettivamente a 79,8 anni e a 84,1, ossia quasi due anni in meno.

Tale differenza territoriale (rilevata tra l'altro in aumento negli ultimi dieci anni) è dovuta solo a differenze di reddito? Non proprio. Emerge anche una differenza nella qualità regionale della spesa, con riferimento anche ai farmaci. Le Regioni che spendono di più nei medicinali equivalenti sono anche quelle con le valutazioni migliori sul loro servizio sanitario: in Trentino la percentuale della spesa per i farmaci equivalenti, tra quelli a brevetto scaduto, è del 10.2%, ossia quasi il triplo che in Calabria. Il nesso è facile da spiegarsi: i risparmi generati dal ricorso ai generici consentono di ampliare la qualità delle cure e la platea dei pazienti.

L’imperativo suggerito dall’Osservatorio è proprio quello di superare tali diseguaglianze preservando la natura pubblica del Servizio Sanitario, notando peraltro che le stesse risultano ancora inferiori a quelle rilevate in tutti gli altri Paesi europei eccetto la Svezia. L’universalismo dell’offerta sanitaria “si sta inesorabilmente disgregando”, avverte comunque il presidente del Gimbe Nino Cartabellotta. A margine, la stessa Fondazione ha anche emesso un comunicato in vista delle imminenti elezioni politiche, notando che “nessuna forza politica ha elaborato un piano di salvataggio del Servizio Sanitario Nazionale”.

 

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