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Le pazienti dicono basta alla narrazione “trionfalistica” sulla lotta al tumore al seno e hanno, naturalmente, ragione. Nondimeno i progressi ci sono, sia da nuove metodiche sia nelle terapie tradizionali. Gli stessi “casi eccezionali” di alcune straordinarie guarigioni sono oggetto di studio, proprio per una migliore comprensione delle loro dinamiche molecolari

Stop ai “trionfalismi” dalla narrazione sulla lotta al tumore al seno, specie se in fase metastatica. Lo hanno chiesto quest’anno, in una lettera aperta alle redazioni italiane, un gruppo di circa 200 pazienti che dicono basta al silenzio in materia ma anche agli annunci di “vittorie di Pirro”, e invocano, invece, risposte concrete, e possibilmente definitive.

Il tumore al seno rimane infatti la prima causa di morte oncologica nel nostro Paese: le donne in cancro metastatico sono 30mila e, a ben vedere dai dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, quelle “definitivamente guarite”, ossia con rischi di mortalità analoghi alle coetanee mai colpite da tumore, sarebbero solo il 16%.

Nondimeno, i passi avanti ci sono e sono reali, sicché la sopravvivenza media a 5 anni dalla diagnosi tumorale è oggi salita a circa l’87%. Migliorano i farmaci, e prendono al contempo il largo nuove metodiche, impensabili fino a pochi anni fa. In particolare, si fanno strada due approcci di tipo immunoterapeutico, che fanno leva sull’uso delle difese naturali del paziente, sollecitandone le cellule tramite terapia farmacologica oppure lavorando sulle cellule immunitarie. A quest’ultimo proposito una équipe del Maryland ha annunciato si annuncia l’esito notevole di una sperimentazione con quest’ultima metodica, tramite “linfociti T”, su una paziente ritenuta oramai “incurabile”, non avendo reagito a nessun altro trattamento, e ora, a due anni dalla guarigione, è del tutto libera dalla malattia, senza dover più ricorrere ad alcun farmaco.

 

“Lo studio è in fase sperimentale, ma poiché questo nuovo approccio all'immunoterapia dipende dalle mutazioni, non dal tipo di cancro, il progetto potrà essere esteso ad altri tipi di tumore”, spiegano i ricercatori americani. Ad avanzare, comunque, è anche l’efficacia delle terapie cosiddette “tradizionali”. Al Policlinico di Modena è stata trattata una donna con un raro carcinoma maligno in entrambi i seni, diagnosticato al quarto mese di gravidanza. Ė stata quindi calibrata una terapia chemioterapica, adattata per evitare danni al nascituro e al contempo ridurre la dimensione dei moduli prima dell’intervento, effettuato dopo il parto, con l’esito, anche qui, di una completa guarigione.

Non sempre va così bene, ma sono proprio i “casi limite” a raccogliere l’interesse della medicina, in quanto forieri di potenziali indicazioni sulle dinamiche che li determinano”. Al dipartimento di Oncologia dell’Università di Verona è stata dunque  attivata un’unità consacrata ai cosiddetti “exceptional responders” . “Stiamo abbinando la diagnostica molecolare all'identificazione di sottogruppi di pazienti che rispondono meglio, o anche peggio, a determinati trattamenti” in relazione a vari tipi di tumore, spiega l’ordinario Giampaolo Tortora.

La ricerca quindi si muove, e i risultati ci sono, per un numero crescente di donne.

A dover ancora avanzare, comunque, è anche la prevenzione. Si stima che quasi il 10% dei nuovi casi di tumore al seno sia in fase metastatica già al momento della diagnosi. Numeri troppo elevati, per una malattia su cui la tempestività terapeutica rimane una variabile che può rivelarsi decisiva.

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