Lo si spiega per i farmaci, vale anche per le creme solari. Non basta disporre del prodotto, si tratta di utilizzarlo per bene, pena vanificarne gli effetti desiderati. L’errore nell’approccio alla tintarella è diffuso, anche per il permanere di parecchie idee sbagliate in materia, dall’ambito delle difese a quello delle conseguenze per la salute che, come confermano le più recenti evidenze, possono essere assai gravi.
Da una pubblicazione sulla rivista Acta Dermato-Venereologica, emerge che un’equipe anglo-australiana ha valutato dettagliatamente gli effetti del diverso utilizzo di creme a protezione 50 da parte di un gruppo di persone di pelle chiara. Le differenze sono emerse notevoli. Chi le usava poco o nulla riportava danni notevoli, che poi parzialmente si riducevano quando il prodotto era applicato con uno spessore di almeno 0,75 mg/cm2 (corrispondente, si stima, alla modalità “mediana” di impiego), e quasi si azzeravano se si arrivava ai 2 milligrammi.
Può sembrare una banalità, ma incorre in questo errore di “sottoutilizzo” almeno la metà dei bagnanti. La propensione all’errore, a sua volta, è dovuta tra l’altro a una quantità di “miti” in materia, riassunti nelle scorse settimane da un reputato specialista, il dermatologo canadese Robert Gniadecki.
Uno di questi prende di mira le creme stesse, che alcuni considerano non solo “inutili”, ma addirittura foriere di rischio cancerogeno, o quantomeno fonti di qualche irritazione. A scanso di equivoci lo stesso Gniadecki ne sconsiglia l’uso sui neonati sostenendo che “dovrebbero semplicemente essere tenuti al riparo dal sole” .
Un altro preconcetto riguarda la produzione di vitamina D, cruciale anti-ossidante agevolato dal sole, che sarebbe inibita dalle creme. L’esperto ammette l’obiezione ma ricorda: “Perché si produca la vitamina, basta una decina di minuti di esposizione diretta al giorno”. Terminati quei dieci minuti, meglio abbondare con le creme.
Gli effetti di una scarsa protezione sono gravissimi. Le radiazioni solari sono la principale causa di tumore alla pelle, ed è un rischio di lungo periodo, che può manifestarsi a distanza di molto tempo. Questo chiama in causa, in particolare, l’attenzione per i bambini. Una documentata conferma arriva dall’Università di Sidney, che ha effettuato una corposa indagine sugli australiani tra i 18 e i 40 anni. Ė emerso che un corretto uso delle creme durante l’infanzia e adolescenza riduce di circa il 40% il rischio di sviluppare un melanoma in età adulta.
Infine, una curiosità: sulla propensione all’errore sono emessi alcuni nessi sociologici. A risultare più “superficiali” – e dunque più esposte a rischio – sono risultate le persone a bassa istruzione e, sul genere, quelle di sesso maschile.