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L’herpes labiale potrebbe non essere semplicemente un fastidioso disturbo che si presenta periodicamente e ripetutamente nel corso della vita. Quelle fastidiose vescicole che caratterizzano questa comune infezione, infatti, potrebbero essere collegate alla comparsa di patologie neurodegenerative, come il morbo d’Alzheimer. Uno studio dell’Università Sapienza di Roma, nei laboratori affiliati all’Istituto Pasteur Italia, in collaborazione con l’Istituto di Farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Roma, l’Università Cattolica-Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS di Roma e l’IRCCS San Raffaele Pisana, ha dimostrato per a prima volta che le numerose recidive dell'infezione possono creare danni a carico del cervello. I risultati, pubblicati sulla rivista PLoS Pathogens, hanno aggiunto un importante tassello al filone di ricerca che da anni punta a chiarire il ruolo degli agenti microbici nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative.

In quest’ultimo studio i ricercatori hanno dimostrato, nei topi, che riattivazioni ripetute del virus inducono la comparsa e l’accumulo nel cervello di biomarcatori di neurodegenerazione tipici della malattia di Alzheimer, quali il peptide beta-amiloide (principale componente delle placche senili), la proteina tau iperfosforilata (che forma grovigli neurofibrillari) e neuroinfiammazione. L’accumulo di questi biomarcatori molecolari di malattia si accompagna a deficit cognitivi che diventano irreversibili con l’aumentare del numero delle riattivazioni virali. “Le recidive delle ben note vescicole sono dovute al fatto che il virus si annida, in forma latente, in alcune cellule nervose situate fuori dal cervello”, spiega Anna Teresa Palamara del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza e coordinatrice dello studio. “In seguito a diverse condizioni di stress (quali ad esempio infezioni concomitanti, calo delle difese immunitarie, esposizione a radiazioni ultraviolette, ecc.) il virus si riattiva, va incontro a replicazione e successiva diffusione alla regione periorale. In alcuni soggetti – aggiunge Palamara – il virus riattivato può raggiungere anche il cervello producendo in quella sede danni che tendono ad accumularsi nel tempo”.

In studi precedenti, condotti in modelli cellulari, i ricercatori avevano già dimostrato che il virus herpes simplex è in grado di promuovere la formazione di biomarcatori molecolari di neurodegenerazione. “La novità più rilevante di questo lavoro consiste nell’aver validato questi risultati in un modello animale e nell’aver dimostrato che l’accumulo di questi biomarcatori si associa a deficit di memoria, che è senza dubbio il tratto caratterizzante della malattia di Alzheimer”, osserva Giovanna De Chiara del Cnr. Ma i ricercatori invitano a non allarmarsi. “Non tutti coloro che soffrono di herpes labialis devono temere di andare incontro a neuro degenerazione”, precisa Claudio Grassi del Gemelli di Roma. “In attesa di conferme di natura clinica nell’uomo, la nostra ricerca - continua - suggerisce comunque che negli individui nei quali si stabilisce un’infezione erpetica latente nel cervello, la ripetuta riattivazione del virus nel corso degli anni costituisce un fattore di rischio aggiuntivo per l’insorgenza della malattia di Alzheimer. Risulta, pertanto, fondamentale comprendere quali siano i fattori genetici e/o metabolici dai quali dipende che il virus raggiunga il cervello e lì si annidi in forma latente”. Il lavoro dei ricercatori va avanti. “I nostri risultati suggeriscono – conclude Palamara – la necessità di prestare una maggior attenzione al nesso tra agenti microbici e neurodegenerazione, e di lavorare alla messa a punto di nuove strategie terapeutiche e/o preventive finalizzate a limitare le riattivazioni virali e la diffusione del virus nel cervello”.

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