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Possiamo considerarle a tutti gli effetti come “micro-navicelle”create per viaggiare all’interno del nostro organismo e pronte a rilasciare il loro carico prezioso direttamente nel posto in cui serve. Tecnicamente si chiamano “nano vettori” e a svilupparne alcuni esemplari molto promettenti per le patologie del fegato è stato un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biochimica e Farmacologia Molecolare dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” Irccs di Milano e del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Padova, in collaborazione con il Dipartimento di Gastroenterologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza e il Pharmazentrum presso la Goethe University Hospital di Francoforte.

I primi test, descritti sulla rivista Acs Nano, sono stati condotti in un modello animale di epatite autoimmune, una malattia del fegato causata da un difetto del sistema immunitario. Nei pazienti affetti da questa condizione le nostre difese immunitarie attaccano per errore il fegato, provocandone l'infiammazione che può condurre alla cirrosi e quindi a danni permanenti. Nel nuovo studio i ricercatori hanno creato nanovettori biocompatibili e biodegradabili (ANANAS), all'interno dei quali è stato incorporato un farmaco steroideo. Ebbene, i ricercatori hanno registrato un effetto terapeutico potenziato e una minore tossicità.

Gli innovativi nanosteroidi, infatti, sono riusciti a mantenere legato il farmaco fino al raggiungimento del fegato; a penetrare all’interno delle cellule responsabili dell’infiammazione; a rilasciare il farmaco esclusivamente in queste cellule; e a produrre un effetto terapeutico riducendo la fibrosi e abbassando i livelli di transaminasi circolanti. I risultati emersi da questo studio sono di grande interesse per la possibilità di effettuare trattamenti in pazienti con epatite autoimmune riducendo al massimo il rischio di effetti collaterali e di estendere tale strategia a altre patologie infiammatorie del fegato. “La marcata tendenza dei nanovettori ad accumularsi nel fegato, il cosiddetto tropismo epatico – spiega Paolo Bigini, responsabile dell’Unità di Nanobiologia presso l’Istituto Mario Negri - è spesso considerato un limite per lo sviluppo di nanofarmaci. Noi, al contrario, sfruttiamo questa caratteristica a nostro vantaggio, potenziando il trasporto epatico di un cortisonico, riducendone contemporaneamente l’accumulo in altri organi. La scelta di testare il nostro nanocomposto nel modello di epatite autoimmune si è rilevata estremamente appropriata e promettente”.

Ma il tropismo epatico non è la sola condizione presa in esame nello sviluppo di questi nanovettori a uso terapeutico. “Parametri quali la stabilità in circolo, la bassa immunogenicità e la capacità di rilasciare il farmaco solo sul bersaglio patologico, sono stati infatti tenuti in grande considerazione nel nostro progetto di ricerca”, dice Mario Salmona, Responsabile del Dipartimento di Biochimica e Farmacologia Molecolare presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs. “In questo contesto, le ANANAS che sviluppiamo e caratterizziamo nel nostro laboratorio - commenta Margherita Morpurgo dell’Università di Padova - soddisfano tutte queste caratteristiche e possono essere prese in seria considerazione per pensare a un serio trasferimento dalla ricerca alla clinica”.

Una prospettiva molto promettente per i clinici. “Il trattamento di infiammazioni epatiche è molto delicato e l’utilizzo di strategie alternative, quali ad esempio quelli generati dalle nanotecnologie, potrebbe contribuire significativamente a migliorare la qualità della vita di molti pazienti”, sottolinea Pietro Invernizzi, primario del Reparto di Gastroenterologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza. Non a caso questo innovativo sistema di rilascio ha ricevuto il finanziamento di un progetto, da parte del ministero della Salute, per valutare l’effetto di nanosteroidi su un modello di infiammazione primaria della bile. 

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