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Una proteina del batterio Escherichia Coli potrebbe aiutare a migliorare la vista nei casi di retinopatia. Si tratta del Fattore Citotossico Necrotizzante 1 (CNF1), già nel mirino dei ricercatori da diverso tempo. Ora un gruppo di ricercatori dell’Istituto superiore di sanità (Iss) ha creato un collirio contenente questa proteina batterica che si è rivelato in grado di migliorare le prestazioni visive in modelli animali di retinopatia ipertensiva, una condizione clinica che si riscontra in soggetti con elevati valori di pressione arteriosa sistemica che altera il corretto funzionamento della retina portando ad una perdita graduale della vista.

Il nuovo studio, pubblicato sulla rivista Neuroscience, ha dimostrato che il CNF1 agirebbe come anti-infiammatorio tramite la modulazione dell’attività della proteina Rac1 nella retina, migliorando così la funzionalità visiva. La proteina Rac1 appartiene alla famiglia delle Rho GTPasi, piccole proteine regolatorie già note per essere coinvolte nei processi infiammatori e nella risposta allo stress ossidativo a livello vascolare. Questi risultati confermano studi precedenti, condotti dallo stesso grippo dell'Iss, dove l’uso del CNF1 è già stato dimostrato avere risultati molto incoraggianti su modelli di altre malattie con una componente neuro-infiammatoria.

“Aver dimostrato che l’agire sull’attività della proteina Rac1 sia in grado di migliorare la funzionalità in una retina già compromessa – spiega Carla Fiorentini del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Iss – apre la strada a nuove strategie terapeutiche mirate a patologie della vista nella cui patogenesi esiste un’importante componente neuro-infiammatoria. Parlo di malattie altamente invalidanti come la retinopatia ipertensiva, la retinopatia diabetica ed il glaucoma, per le quali ad oggi non esistono cure”. Il trattamento topico con il CNF1 sulla retinopatia da ipertensione si sarebbe dimostrato efficace, oltre che da un punto di vista biochimico, anche attraverso analisi di tipo comportamentale ed elettrofisiologico che “rendono questi risultati piuttosto incoraggianti per lo sviluppo di un nuovo potenziale farmaco”, conclude Fiorentini.

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