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I farmaci antiretrovirali, non solo hanno permesso alle persone con Hiv di vivere quanto chi non è stato mai contagiato, ma hanno anche portato a zero il rischio di trasmettere l’infezione. Secondo lo studio Partner, pubblicato su Lancet, l’uso regolare e corretto delle terapie hanno mutato drasticamente le caratteristiche del contagio. Ora diventa possibile superare lo stigma e affrontare con paradigmi nuovi il tema della prevenzione dell’infezione e dello stop dell’epidemia.

Lo studio, durato 8 anni, conferma la validità della formuna U=U, Undetectable=Untransmittable, ossia Non rilevabile=Non trasmissibile. “Questo studio ha dimostrato che su un totale di oltre 76mila rapporti senza preservativo tra coppie omosessuali siero-discordanti, ossia con un partner Hiv positivo ma con viremia non rilevabile perché controllata da farmaci antiretrovirali e con un partner sieronegativo, la trasmissione dell’infezione è risultata pari a zero, pur senza assumere PrEP (profilassi pre-esposizione , l’intervento farmacologico attuato prima di una possibile esposizione all’Hiv con lo scopo di prevenire il contagio, ndr)”, spiega Andrea Antinori, specialista all’Istituto nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani Irccs di Roma e uno degli autori dello studio. Di questo si è discusso recentemente a Milano in occasione dell’11esima edizione dell’Italian Conference on Aids and Antiviral Research (Icar), la conferenza italiana su Aids e ricerca antivirale.

Lo studio Partner non è l’unica ricerca che dimostra questo concetto: “Possiamo pertanto affermare che chi è Hiv positivo, ma prende regolarmente la terapia e ha una viremia stabilmente soppressa può avere rapporti sessuali non protetti, sia eterosessuali che omosessuali, con partner sieronegativo, senza avere alcun rischio di infettarlo”, dice Antonella D’Arminio Monforte, uno dei quattro presidenti del congresso di Milano Icar 2019. “Questa notizia è direi rivoluzionaria perché le persone sieropositive in cura non sono più fonte di contagio e possono affrontare più serenamente la comunicazione della loro sieropositività con il proprio partner sessuale”, aggiunge.

Questo non implica che si possa abbassare la guardia, anche perché queste terapie non proteggono da altre malattie sessualmente trasmissibili. Tuttavia diventa possibile superare lo stigma e affrontare con paradigmi nuovi il tema della prevenzione dell’infezione e dello stop dell’epidemia. Il vero problema dunque non sono i soggetti con infezione da Hiv in terapia, che sarebbero oltre 100mila in Italia, bensì il cosiddetto “sommerso”, ossia coloro che sono infetti dal virus ma non ne sono consapevoli. Un numero di soggetti che nel nostro Paese si stima che ammonti a circa 15mila persone: costoro, oltre a essere un problema per se stessi, in quanto non diagnosticati e non in trattamento progrediscono verso la malattia, e sono un problema per la società, in quanto potenziale fonte inconsapevole di trasmissione.

In Italia siamo ben lontani dal sentirci al sicuro dall’Hiv. Anche se i nuovi casi di infezione da virus Hiv sono praticamente stabili in Italia, è invece allarme contagi tra i giovani probabilmente anche a causa di una preoccupante sottovalutazione dei rischi. Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss), nel 2017 in Italia sono state segnalate 3.443 nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari a 5,7 nuovi casi per 100.000 residenti, un dato in linea con la media europea. L’incidenza maggiore di infezione da Hiv è nella fascia di età 25-29 anni. La maggioranza delle nuove diagnosi Hiv positive è attribuibile a rapporti sessuali non protetti: nel 45,8% dei casi si tratti di rapporti eterosessuali. E' in aumento, seppure di poco, il rischio nei giovanissimi fra i 15 e i 24 anni, fra i quali si registra anche la maggior proporzione di contagi nel sesso femminile. Sporadici invece sono nuovi casi di Hiv fra bambini: nel 2017 sono stati 14, due quattordicenni contagiati da rapporti eterosessuali e dodici neonati che hanno contratto l’infezione dalla madre straniera.

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