Potremmo avere già gli strumenti per diagnosticare una delle patologie più complesse da individuare, ovvero l’autismo. Un semplice elettroencefalogramma (Eeg), infatti, può consentire di rilevare in fase precoce e in maniera pressoché automatica se un bambino è affetto o meno da disturbi dello spettro autistico. Attraverso l’utilizzo di sofisticati sistemi di intelligenza artificiale, si possono riuscire a sfruttare tutte le informazioni necessarie per arrivare a distinguere i bambini autistici dai bambini affetti da altre patologie neuropsichiatriche e dai bambini a sviluppo tipico. Almeno questo è quello che suggerisce uno studio italo-americano pubblicato sulla rivista scientifica Clinical EEG and Neuroscience. Firmato dalla Fondazione VSM di Villa Santa Maria Centro di Neuropsichiatria Infantile Onlus di Tavernerio, dal Centro Ricerche Semeion di Roma e dal Tarnow Center for Self-Management di Houston, in Texas, lo studio è stato realizzato utilizzando dati raccolti nell’arco di cinque anni.
L’autismo è una malattia complessa, caratterizzata da gravi disturbi della comunicazione, del comportamento e dell’interazione con gli altri. Nelle forme più gravi, le persone affette non parlano, tendono a isolarsi e presentano comportamenti stereotipati e disabilità intellettuali. Ci sono però anche forme più leggere in cui, nonostante i problemi nella comunicazione, le capacità intellettive e di linguaggio non sono compromesse. La nuova ricerca si è svolta con l’analisi dei dati grezzi della registrazione elettroencefalografica attraverso un sistema di reti neurali sviluppato dal Centro Ricerche Semeion. Il metodo si chiama I FAST. Per cominciare sono stati considerati gli Eeg di due diversi gruppi di bambini americani con età compresa tra i 4 e i 14 anni, ciascuno costituito da 20 soggetti, i primi affetti da disturbi dello spettro autistico e i secondi da altri disturbi neuropsichiatrici, simili per età e rapporto maschio/femmina. In questo caso il sistema è stato in grado di distinguere i bambini, separandoli in base alle diverse diagnosi, con un’accuratezza tra il 93% e il 97,5%, a seconda dei diversi algoritmi utilizzati.
Successivamente, per ulteriore verifica sulla validità del sistema, sono stati considerati altri due gruppi di bambini. Il primo costituto da 25 soggetti italiani (15 autistici e 10 con sviluppo tipico) tra i 7 e i 14 anni di età i cui Eeg sono stati registrati a Villa Santa Maria. Il secondo costituito da altri 10 bambini autistici italiani tra i 25 mesi e i 37 mesi di età. Anche questa analisi ha dato esisto positivo. L’accuratezza nel distinguere i soggetti con autismo da quelli appartenenti al gruppo di controllo e da quelli con altre patologie neuropsichiatriche ha infatti raggiunto il 95%. E anche nel caso dei bambini più piccoli, i cui Eeg sono stati utilizzati per un ulteriore riscontro, le reti neurali hanno consentito di riconoscere correttamente nove soggetti su dieci. Tutto questo senza che i risultati venissero in alcun modo influenzati dall’età, dalla nazionalità, dall’etnia e da aspetti tecnici relativi l’acquisizione degli Eeg nei diversi contesti. “Questo studio dimostra che anche un elettroencefalogramma standard contiene le informazioni necessarie per distinguere sostanzialmente i bambini a sviluppo tipico da quelli con disturbo dello spettro autistico, a patto di poter elaborare i dati con sistemi di analisi molto sofisticati come quelli utilizzati dal nostro gruppo”, spiega Enzo Grossi, direttore scientifico della Fondazione VSM.
“Il fatto che un sistema, addestrato su casi di bambini di età più avanzata, abbia comunque classificato correttamente anche nove dei dieci soggetti più piccoli - prosegue - sembra suggerire la presenza di un qualche marcatore dei disturbi dello spettro autistico a livello neurale fin dalla più tenera età, cosa che renderebbe possibile una diagnosi già nei primi mesi di vita”. Il prossimo obiettivo è, pertanto, quello di approfondire questa possibilità analizzando i risultati di Eeg effettuati su bambini con meno di 12 mesi di età, che stiamo cercando di reperire da Centri italiani ed esteri. “Il metodo I FAST rappresenta una novità scientifica per l’analisi dei segnali temporali provenienti da molti canali in parallelo, come l’EEG, e tenta di trovare le invarianti con cui tutti i segnali si modificano l’un l’altro a diverse distanze temporali”, spiega Massimo Buscema, direttore del Centro ricerche Semeion. “È come se un meccanico tentasse di capire la qualità di un motore stirando un’automobile nei modi più diversi per catturare il suo rumore caratteristico, a prescindere dalle accelerazioni o dalle stasi. E anche a prescindere dalla sequenza - continua - con cui ha pianificato i suoi test. Nel nostro caso il motore è un cervello e il suo suono sono le ampiezze, le frequenze e le fasi dei 18 segnali che l’EEG rileva su ogni persona. L’intero processo è implementato tramite diverse Reti Neurali Profonde, supervisionate e non supervisionate, che cooperano inconsapevolmente tra loro. Il risultato è il l’individuazione di una sorta di impronta digitale che ogni cervello in pochi minuti traccia in modo quasi invisibile nel proprio EEG”.