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Per anni la ricerca delle cause dell’Alzheimer si è concentrata su una proteina in particolare, la beta-amiloide, il cui accumulo nel cervello è considerato un segnale della malattia. Poi l’interesse si è spostato su un’altra proteina, la Tau, che potrebbe giocare un ruolo importante tanto quanto o addirittura superiore alla beta-amiloide. Uno studio coordinato dal gruppo di ricerca di Chimica delle biomacromolecole dell’Università di Verona, condotto in collaborazione dell’Università di Padova, ha aggiunto all’interesse verso la sola Tau anche il suo rapporto con un’altra proteina, l’ubiquitina. I risultati, pubblicati sulla rivista Angewandte Chemie, suggeriscono nuove strategie farmacologiche basate sul sistema Tau-ubiquitina contro la neurodegenerazione legata all’Alzheimer.

Quando la proteina Tau non funziona correttamente cambia la propria struttura e forma aggregati insolubili la cui deposizione ha come effetto la morte neuronale che sta alla base della malattia di Alzheimer. Partendo da questo assunto, lo studio ha indagato nello specifico l'impatto sull'aggregazione della proteina Tau dell’ubiquitina, una “proteina segnale” che veicola i suoi bersagli alla degradazione, ottenendo per la prima volta informazioni importanti a livello molecolare che contribuiscono a determinare il ruolo dell’ubiquitinazione nella neurodegenerazione. “La nostra ricerca è partita dall'evidenza che, negli aggregati patologici, la proteina Tau è ubiquitinata, ossia alcuni aminoacidi legano una seconda proteina, l’ubiquitina; ci siamo quindi chiesti se la presenza dell'ubiquitina avesse un impatto nella formazione degli aggregati patologici”, spiega Mariapina D’Onofrio, ricercatrice dell’Università di Verona.

“L’uso di metodologie chimiche ha invece permesso di sintetizzare campioni di Tau legata ad una ubiquitina in tre posizioni definite lungo la sequenza di Tau. Abbiamo quindi studiato la capacità di formare aggregati dei tre campioni ottenendo cosi informazioni sulla diversa modulazione dell'aggregazione in dipendenza della posizione di ubiquitinazione”, riferisce D'’Onofrio. Ebbene, gli studiosi hanno scoperto che il sistema ubiquitina partecipa ai meccanismi di degradazione proteica, per questo si ritiene che giochi un ruolo importante nella neurodegenerazione. “I nostri studi sui meccanismi molecolari di aggregazione di Tau legati all’ubiquitinazione aprono la strada alla comprensione di un possibile coinvolgimento di questa modifica nell'insorgenza e sviluppo della malattia di Alzheimer”, dice D’Onofrio. “Riteniamo quindi che questi risultati siano alla base per lo sviluppo di nuove strategie farmacologiche che sfruttino eventualmente come bersaglio il sistema ubiquitina-Tau”, conclude.

 

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