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In alcuni casi, la maggiore suscettibilità e vulnerabilità alle infezioni non dipende tanto dall’agente patogeno che le causa. Ma può essere legata a un “nemico” impresso nel nostro DNA. In particolare, a un gene mutato che lascia il nostro organismo senza difese. Si tratta dell’alterazione del gene FNIP1, che “spegne” il metabolismo delle cellule del sistema immunitario che producono gli anticorpi, i linfociti B, che per questa ragione muoiono prima di divenire adulti, lasciando così l’organismo indifeso. A scovare il gene “difettoso” nell’uomo è stato un gruppo di ricercatori del Centro di ricerca Tettamanti e di medici del Centro di emato-oncologia pediatrica Maria Letizia Verga della Clinica Pediatrica Università Bicocca, in collaborazione con il Leiden University Medical Center di Leiden (Paesi Bassi), il Baylor College of Medicine e il Texas Children’s Hospital di Houston. I risultati sono stati punlicati sulla rivista Blood.

I ricercatori hanno anche scoperto che questa alterazione genetica, oltre a essere tra le cause della più grave e diffusa immunodeficienza ereditaria, l’agammaglobulinemia, è presente in altre importanti malattie come infezioni ricorrenti, neutropenia (la carenza di un particolare tipo di globuli bianchi chiamati neutrofili) e cardiomiopatia ipertrofica, cioè un inspessimento del muscolo cardiaco che ne pregiudica il buon funzionamento. “L’effetto dell’alterazione del gene FNIP1 nei modelli animali con conseguente agammaglobulinemia, cardiomiopatia ipertrofica, infezioni ricorrenti e neutropenia era già noto ma non era ancora mai stato osservato nell’uomo”, riferisce Francesco Saettini, medico presso l’ambulatorio di Immunologia al Centro Maria Letizia Verga. “Questa scoperta può aprire la strada allo studio di nuovi approcci terapeutici contro quelle patologie, come i tumori del sangue, ad esempio, in cui i linfociti hanno un metabolismo molto accelerato e si riproducono rapidamente: è possibile ipotizzare, intervenendo sul gene FNIP1, di rallentarne sempre più l’attività, sino a farle morire”, aggiunge.

La mutazione osservata provoca una ridotta o assente produzione della proteina FNIP1, da cui il gene alterato trae il suo nome. Questa proteina, in sinergia con altre due, la follicolina e la FNIP2, è responsabile dell’attivazione di un altro gruppo di proteine, chiamate AMPK, che nella cellula hanno il compito di "acceleratore" della produzione di energia. Quando c’è una forte richiesta energetica (ad esempio durante un digiuno prolungato o un’attività fisica intensa), infatti, innescano una serie di risposte mirate per fornire alla cellula ciò di cui ha bisogno. In sostanza tutto il glucosio e gli acidi grassi disponibili non vengono immagazzinati sotto forma di glicogeno e trigliceridi ma sono “bruciati” per produrre energia. Senza proteina FNIP1, quindi, la cellula non è in grado di produrre più energia quando è sotto stress e muore. “Questo studio è particolarmente interessante perché mette in luce come l’alterazione dell’emocromo possa essere segnale di malattie complesse o di nuove patologie rare”, commenta Andrea Biondi, direttore scientifico del Centro di ricerca Tettamanti e direttore del Centro di emato-oncologia pediatrica Maria Letizia Verga della Clinica Pediatrica Università Bicocca.

 

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