Per contrastare il declino cognitivo e la perdita di memoria, due dei più devastanti effetti dell'Alzheimer, un gruppo di ricercatori dell'IRCCS Istituto Centro San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli di Brescia ha avviato uno studio su un “ingrediente” naturale che si trova nella buccia di limone. In particolare, i ricercatori valuteranno e l’effetto di un fitocomplesso estratto dalla buccia del limone e standardizzato nel contenuto di auraptene e naringenina sulla funzione cognitiva e sui biomarcatori in anziani con declino cognitivo soggettivo.Per 9 mesi 80 persone con declino cognitivo assumeranno il fitocomplesso o un placebo, che verrà prodotto presso il Laboratorio di Chimica delle Sostanze Naturali del Dipartimento di Farmacia dell’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara (https://www.unich.it/) e somministrato in forma di estratto secco (capsule).
La capsula verrà somministrata al mattino, appena alzati, in concomitanza con terapie farmacologiche già in atto. “La buccia del limone è molto ricca di fitochimici”, spiega la responsabile dello studio di ricerca all’IRCCS Fatebenefratelli, Samantha Galluzzi. “In particolare, due di questi fitochimici, chiamati auraptene, della famiglia dei cumarinici, e naringenina, della famiglia dei flavonoidi, che hanno suscitato l’interesse della ricerca scientifica. Alcuni studi animali su topi - prosegue - con diversi tipi di danno cerebrale, tra cui quello tipico della malattia di Alzheimer, hanno dimostrato che auraptene e naringenina hanno un effetto neuroprotettivo, antinfiammatorio e antiossidante e migliorano la memoria e l’apprendimento. Inoltre, in uno studio clinico, auraptene è stato somministrato ad un gruppo di anziani sani dimostrando un potenziamento della funzione di memoria immediata rispetto al placebo.
Questi dati supportano lo studio scientifico dell’effetto di questi due fitochimici sul potenziamento cognitivo nell’anziano e dei meccanismi biologici che sottostanno tale effetto”.I meccanismi biologici si possono studiare attraverso la misurazione, nel sangue, di ormoni, fattori di crescita neuronali e proteine coinvolti nei processi ormonali, immunitari e riparativi cerebrali (biomarcatori). Secondo i ricercatori, il potenziamento della funzione cognitiva nell’anziano e, possibilmente, la prevenzione del declino cognitivo consentono di contrastare l'insorgere dell’Alzheimer, una malattia neurodegenerativa che porta alla progressiva perdita delle funzioni cognitive (memoria, attenzione, linguaggio, ragionamento) e della capacità di svolgere le abituali attività quotidiane (guidare la macchina, gestire il denaro, cucinare, organizzare la casa), fino alla perdita completa dell’autosufficienza. “Alcuni studi - dice Galluzzi - hanno dimostrato che il declino cognitivo soggettivo nelle persone anziane può rappresentare una condizione di fragilità cognitiva e di aumentato rischio di sviluppare declino cognitivo negli anni futuri, anche se non tutte le persone lo svilupperanno. Si tratta, quindi, di una popolazione ideale sulla quale valutare l’effetto di un trattamento di potenziamento cognitivo”.