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Si chiama NEST4AD ed è uno studio lanciato dall'IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, sotto la responsabilità di Michela Pievan, che ha lo scopo di indagare gli effetti della stimolazione non-invasiva per preservare la memoria. Lo studio si rivolge a persone di almeno 60 anni senza deficit cognitivi e mira a testare se la tecnica di neuromodulazione rTMS (stimolazione magnetica transcranica ripetuta) possa modulare, mediante l’applicazione di ripetuti impulsi magnetici, la comunicazione tra le aree della rete neuronale chiamata DMN (default mode network), la quale è associata alla memoria episodica ed autobiografica.

Numerosi studi hanno osservato come nelle persone con diagnosi di Alzheimer questa rete abbia una ridotta connettività e come questa causi le difficoltà di memoria caratteristiche della malattia. Questa ridotta interconnessione è risultata essere presente anche in persone senza deficit cognitivi, ma con un aumentato rischio di sviluppare deficit cognitivi a causa di fattori di predisposizione come la presenza dell’allele e4 dell’Apolipoproteina E (APOE). "Le persone in linea con i criteri previsti dal protocollo di studio - riferiscono i ricercatori - verranno assegnati, in modo casuale, ad uno dei due gruppi sperimentali: stimolazione attiva (rTMS reale) o placebo (rTMS sham). Il protocollo  di studio include 4 sessioni di rTMS, nonché 2 valutazioni neuropsicologiche, 2 esami di risonanza magnetica e 2 esami neurofisiologici (TMS-EEG) che saranno effettuati prima delle sessioni di rTMS e al loro termine". La valutazione neuropsicologica sarà ripetuta anche dopo due mesi dall’intervento.

 La speranza degli studiosi è quella di validare un nuovo protocollo per prevenire i “classici” disturbi di memoria legati alla malattia d'Alzheimer. Si stima che oggi in Italia ci siano oltre un milione di persone affette da demenza. Di queste circa la metà soffrono di demenza di Alzheimer. E di questo ultimo gruppo circa il 10-15% è in una forma lieve. Individuare un trattamento in grado di limitare uno degli effetti più invalidanti della malattia, appunto quelli che colpiscono la memoria, potrebbe aiutare migliaia di malati a mantenere una buona qualità della vita più a lungo possibile.

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