MENU

Nelle prime fasi di sviluppo dell'Alzheimer - la più comune forma di demenza senile, caratterizzata dalla degenerazione del tessuto nervoso con accumulo di una proteina anomala detta beta-amiloide e sviluppo di intrecci neurofibrillari - alcune cellule cerebrali svolgono un'attività pro-infiammatoria. A spiegare come, individuando anche una strategia per contrastarla, è uno studio condotto dall'Università di Foggia, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Redox Biology. Il progetto ha dimostrato che le cellule di microglia nelle prime fasi dell’Alzheimer presentano una significativa riprogrammazione metabolica che guida la loro attività pro-infiammatoria.

In particolare, in seguito all’esposizione al beta-amiloide e a prodotti batterici derivanti dall’intestino, le cellule di microglia - cellule molto simili a macrofagi che svolgono molte funzioni, tra cui quella di difesa - cambiano il loro metabolismo energetico cellulare, aumentando il consumo di glucosio e l’attività mitocondriale con conseguente stress ossidativo, induzione del danno neuronale e ulteriore produzione di beta-amiloide, innescando una reazione a catena. La buona notizia è che dallo studio risulterebbe possibile bloccare questa riprogrammazione metabolica riducendo quasi del tutto i livelli di infiammazione cerebrale.

“Lo studio apre scenari significativi nella comprensione dei meccanismi di progressione dell'Alzheimer”, spiega Gaetano Serviddio, direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Foggia, che ha coordinato lo studio. “Occorre continuare ad investire in tecnologia di ricerca e supportare l'arrivo di nuovi ricercatori di formazione internazionale”. Ad oggi la prevalenza della malattia di Alzheimer nella popolazione è in aumento e l’Istituto Superiore di Sanità stima in Italia circa 500 mila malati, tuttavia, le opzioni terapeutiche sono quasi inesistenti.

Articoli Correlati

x