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Nuove prove a favore di una alimentazione che favorisca l’uso di olio d’oliva arrivano da uno studio realizzato nell’ambito del Progetto UMBERTO, condotto dalla Piattaforma Congiunta Fondazione Umberto Veronesi ETS – Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS), in collaborazione con la Clinica Mediterranea Cardiocentro di Napoli e l’Università LUM “Giuseppe Degennaro” di Casamassima (BA). La ricerca ha evidenziato che il consumo di olio d’oliva è associato a una importante riduzione della mortalità non solo per le malattie cardiovascolari, ma anche per i tumori. Pubblicata sulla rivista European Journal of Clinical Nutrition, la ricerca ha analizzato i dati di quasi 23.000 adulti italiani, uomini e donne, partecipanti allo studio epidemiologico Moli-sani, seguiti per oltre 12 anni.

“I benefici del consumo di olio di oliva sono ampiamente documentati in letteratura, soprattutto in relazione alla salute cardiovascolare“, dice Emilia Ruggiero, primo autore dello studio e ricercatrice finanziata da Fondazione Umberto Veronesi ETS presso il Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed. “Tuttavia, si sa ancora poco sugli effetti dell’olio di oliva in relazione ai tumori. Ecco il perché di questa indagine basata sui dati raccolti dallo studio Moli-sani, una delle coorti di popolazione più grandi d’Europa”.

Dallo studio è emerso che, rispetto a un consumo inferiore a un cucchiaio e mezzo, il consumo quotidiano di olio di oliva in quantità uguali o superiori a 3 cucchiai da tavola è associato a una analoga riduzione (23%) del rischio di mortalità per tumore. “La riduzione di mortalità per tumore appare spiegata, seppure parzialmente, da un miglioramento del profilo di alcuni fattori di rischio tipicamente legati alle patologie cardiovascolari - aggiunge Maria Benedetta Donati, principal investigator della Piattaforma congiunta -. Un’ipotesiche affascina molti ricercatori e che va approfondita è che malattie croniche diverse come ad esempio tumori e infarto del cuore potrebbero condividere gli stessi fattori di rischio e gli stessi meccanismi molecolari”.

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