Ce lo dice un rapporto pubblicato recentemente da “Access to Medicine Index”, dove vengono analizzate e valutate tutte le principali industrie farmaceutiche che operano a livello mondiale, le cosiddette “big pharma”.
Ogni due anni, l'indice delle multinazionali del farmaco “più buone” classifica le prime 20 società del mondo farmaceutico in base a come facilitano l’accesso da parte dei poveri del mondo alle medicine di cui detengono i brevetti, quanta ricerca fanno sulle malattie tropicali, la loro etica per le sperimentazioni cliniche nei paesi poveri e altri parametri di valutazione simili, per un totale di 101 indicatori analizzati.
Hans V. Hogerzeil, ex direttore del programma dell'Oms per i farmaci essenziali e le politiche farmaceutiche, commenta così l’iniziativa: “Nonostante i progressi dell'ultimo decennio, ancora circa un terzo della popolazione mondiale non ha accesso regolare ai farmaci essenziali. Molti di questi vivono nell'Africa Subsahariana, ma circa un miliardo di queste persone vive in paesi in via di sviluppo e in economie emergenti nelle quali il divario tra le classi più abbienti e quelle più povere, che vivono con meno di un dollaro al giorno, continua ad ingrandirsi” e prosegue “Queste persone devono far fronte a diversi tipi di 'barriere', nell'accesso ai servizi sanitari. Da una parte la mancanza di centri di ricerca che si occupano di condizioni presenti in zone specifiche, che fa sì, ad esempio, che non esistono farmaci veramente a prova di temperature tropicali, da somministrare nei paesi più caldi. Oppure i medicinali esistono ma sono troppo costosi, o magari non disponibili in un dato paese, o ancora con tempi di attesa troppo lunghi. Infine, potrebbero esserci prodotti che non hanno un profilo di sicurezza, di qualità e di efficacia ben definito”.
Avviata nel 2008, l’iniziativa “Access to Medicine Index” nasce quindi con lo scopo di portare alla luce i comportamenti delle industrie farmaceutiche nei paesi più poveri del terzo mondo, stilando una classifica e inducendole in questo modo ad impegnarsi maggiormente nelle aree del mondo più bisognose per rendere accessibili farmaci, test diagnostici, vaccini, tecnologie e apparecchiature mediche. Questo tentativo sembra aver funzionato, nonostante lo scetticismo iniziale di molte “big pharma” se andiamo a guardare i risultati: dal 2008 ad oggi il primo posto in classifica è sempre stato saldamente nelle mani di Glaxo Smith Kline, ma le successive posizioni hanno visto alternarsi varie multinazionali che stanno implementando dei programmi sempre più etici per la commercializzazione dei loro prodotti e l’assistenza ai più poveri. Nell’ultimo rapporto, tra le industrie che si sono impegnate di più in questo senso balzano all’occhio Johnson & Johnson, che passa dal 9° al 2° posto, e Sanofi che dal 5° è passata al 3° posto in classifica.
Queste sono le “big pharma” che si sono più impegnate per aiutare i poveri del mondo nel loro accesso a farmaci e cure, ma l’iniziativa ha spinto tante altre a fare passi in avanti visto che ben 17 su 20 hanno migliorato il loro punteggio assoluto nel corso degli ultimi anni, creando una sorta di “circolo virtuoso” nell’industria del farmaco.
Hogerzeil afferma che si potrà migliorare l'accesso ai servizi sanitari in tutto il mondo solo se le grandi industrie si sforzeranno di aumentare la trasparenza, differenziare i prezzi e la donazione di farmaci da Paese a Paese e rendere più facile per i paesi in via di sviluppo accedere ai dati dei trial clinici, in modo da velocizzare l'approvazione dei farmaci generici. E conclude così: “Solo così le case farmaceutiche potranno liberarsi dell'etichetta negativa che si sono guadagnate negli ultimi anni”.
Per maggiori informazioni visitate www.accesstomedicineindex.org, per vedere la classifica visitate www.accesstomedicineindex.org/ranking ed infine ecco il link per scaricare il rapporto completo.
Buona lettura!