Anche l’ultima relazione della Corte dei Conti conferma che tra i pochi capitoli della spesa pubblica in costante riduzione vi è quello relativo alla farmaceutica convenzionata, che anche nel 2013 ha fatto registrare una riduzione del 3,4%, e non certo perché i cittadini abbiano smesso di curarsi. “Molti sono i fattori che contribuiscono a questo "risultato”, dice il presidente di AssoGenerici Enrique Häusermann, “ma quello fondamentale, come ha ricordato anche questa volta la magistratura contabile, è la presenza sul mercato del generico che, da sola, ha determinato una fortissima riduzione della spesa”. Ciò nonostante, nel nostro paese i produttori di farmaci equivalenti sono tenuti, come i produttori di farmaci branded, al pagamento del cosiddetto pay-back, cioè di un rimborso da parte delle aziende produttrici direttamente allo stato se la spesa per i farmaci supera il tetto fissato per legge per ogni specialità medicinale. “Questo penalizza ingiustamente tutto un settore che è invece all’origine del risparmio”, sottolinea Häusmann. Il sistema del pay-back viene, inoltre, esteso anche ai farmaci ospedalieri. “Il fatto è che il tetto di spesa fissato dal governo per i farmaci ospedalieri è regolarmente sottostimato”, afferma il presidente di Assogenerici. Questo è un ulteriore danno per i produttori dei farmaci equivalenti che già sono intrinsecamente meno costosi e che sono soggetti a gare d’appalto nelle quali “vince” chi si aggiudica il prezzo più basso. “Tali farmaci devono essere esclusi dal sistema del pay-back applicato alla spesa ospedaliera”, sostiene Häusermann. “Se si vuole diminuire ulteriormente la spesa, facendo leva sul farmaco equivalente, si dovrebbe, poi, eliminare dalla normativa italiana il meccanismo del cosiddetto “patent linkage”, una clausola che ritarda l’ammissione alla rimborsabilità dei nuovi farmaci equivalenti, e che comporta un mancato risparmio pari a tre milioni di euro al giorno”, conclude Häusermann. Un meccanismo, peraltro, ormai presente soltanto in Italia e più volte dichiarato illegittimo dalla Commissione Europea e dal Parlamento Europeo, che ha anche votato una proposta di direttiva volta a proibirne l’introduzione nelle normative nazionali.