Aglio, porro, vino e bile bovina. Sono questi gli ingredienti principali di un'antica ricetta medievale, risalente a oltre mille anni fa, che promette di contrastare uno dei problemi più grandi della sanità mondiale: quello dei "super batteri" resistenti agli antibiotici. Un gruppo di ricercatori dell'Università di Nottingham ha infatti testato con successo le sorprendenti qualità di una mistura descritta in un manoscritto di medicina del X secolo, conservato presso la British Library.
I risultati della ricerca sono stati esposti in occasione della conferenza annuale della Society for General Microbiology. L'unguento descritto nel Bald's Leechbook è stato spalmato sulla pelle di cavie infettate dallo Staphylococcus aureus, resistente alla meticilina (Mrsa), riducendone la presenza del 90%. Un risultato sorprendente, analogo a quello che si ottiene con la vancomicina, l'antibiotico più usato. Ma col vantaggio di essere al 100% naturale.
La pozione "miracolosa" si ottiene mescolando insieme aglio, cipolla, porro, vino e bile di mucca, e il mix necessita di riposare in un recipiente di ottone per nove giorni alla temperatura di 4 gradi. Harrison e colleghi hanno cercato di seguire le istruzioni alla lettera, sebbene non fosse facile scovare ingredienti qualitativamente simili agli originali. Per l'alcol, ad esempio, hanno usato un vino biologico di vecchia annata, mentre le difficoltà nello sterilizzare il contenitore di ottone sono state aggirate immergendo dei sottili fogli metallici nella miscela. Gli ingredienti, spiegano gli autori, funzionano solo se mescolati tra loro seguendo la ricetta alla lettera. Una notizia quindi particolarmente interessante in un momento in cui il problema della resistenza dei batteri agli antibiotici sta allarmando il mondo.
Il fenomeno della resistenza agli antibiotici delinea in Italia un ''quadro preoccupante'', con un consumo di tali farmaci ''record e in aumento'' mentre ''sono stimati 5000-7000 decessi annui riconducibili ad infezioni ospedaliere'' da germi multiresistenti, con un costo annuo superiore a 100 milioni di euro''. A sottolinearlo, dopo l'allarme lanciato dal governo inglese sulla pericolosità del fenomeno che potrebbe provocare secondo le stime britanniche 80 mila morti, è la Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali (Simit). Il fenomeno dell'antibioticoresistenza, avverte la Simit, ''ha carattere universale, ma in Italia il quadro è decisamente più preoccupante. Il consumo di antibiotici in ambito umano è uno dei più alti in Europa ed anche il consumo di antibiotici in ambito veterinario è fra i più elevati; il consumo di soluzioni idroalcoliche per l'igienizzazione delle mani, aspetto centrale della prevenzione della diffusione dei batteri antibioticoresistenti, è invece fra i più bassi in Europa; la diffusione di numerosi germi multiresistenti è un problema rilevante in molti ospedali, ma le multiresistenze si stanno rapidamente diffondendo anche al di fuori delle strutture sanitarie''. Nei Paesi Ue, circa 25.000 pazienti muoiono annualmente come conseguenza di infezioni da germi multiresistenti, con un costo associato di 1,5 mld di euro. Le cause che sono alla base dell'antibioticoresistenza sono molteplici, ma un ruolo particolare gioca l'uso inappropriato degli antibiotici che, afferma la Simit, ''rischia di disperdere una risorsa preziosa non immediatamente rinnovabile: negli ultimi anni l'industria farmaceutica ha infatti registrato un numero sempre più limitato di nuove molecole antibiotiche, per cui già oggi è difficile trattare efficacemente alcuni microrganismi multiresistenti agli antibiotici disponibili''.
Tuttavia, conclude il presidente Simit Massimo Andreoni, ''le infezioni ospedaliere sono, almeno in parte, prevenibili e l'adozione di pratiche assistenziali sicure comporta la riduzione del 35% almeno della frequenza di queste complicanze''.