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L’incidenza della depressione del genitore sul rischio di un parto prematuro – che è causa principale di morte dei neonati in larga parte del mondo – è molto alta, con percentuali che arrivano al 40%.

Tra salti culturali e problemi di lavoro, c’è un cambiamento epocale in famiglia, col papà a casa. Non accadeva dai tempi pre-industriali e forse, argomentano molti, non è mai accaduto in questa misura. Sul “mammo” si scatenano le varie scienze umane, perlopiù plaudendo al fenomeno. Attenzione però, perché l’allargata partecipazione domestica e la nuova presenza in sala parto andrebbero accompagnate a un’altra consapevolezza, primaria e clinica: il partner può aiutare, e molto, ma altrettanto può far male, se sta “depresso”, sin dal concepimento.

Lo studio, pubblicato sull’International Journal of Obstetrics and Gynaecology, è stato condotto in Svezia su una platea molto estesa, 350mila nascite “premature” tra il 2007 e il 2012, ossia entro la 36ma settimana. Lo stato “depressivo” del genitore è stato definito dalla sussistenza di un trattamento farmacologico o di una consultazione ospedaliera nell’anno prima del concepimento fino al secondo semestre di gravidanza.

Ebbene, il riscontro sorprendente è che l’incidenza della depressione del genitore sul rischio di un parto prematuro – che è causa principale di morte dei neonati in larga parte del mondo, nota l’Organizzazione Mondiale della Sanità – non solo è molto alta, con percentuali che arrivano al 40%, ma, e questa è la vera novità, rivela analogie tra i due genitori. Sui rischi della madre “depressa” si sapeva, su quelli del padre no. Il problema riguarda soprattutto i “nuovi” depressi, quelli che non avevano riscontrato patologie prima di tale periodo (forse per la positiva incidenza dei trattamenti avviati dai “vecchi” malati): i papà che vengono a trovarsi in tale categoria incrementano la probabilità del parto prematuro di addirittura il 38%.

Il dato è impressionante e meriterà un approfondimento scientifico. A detta degli stessi ricercatori, non è chiaro se la causa sia primariamente “ psicologica” (lo stress trasmesso dal partner alla donna incinta) o “fisiologica” (l’impatto della depressione sulla qualità dello sperma, con effetti possibili sul Dna del bambino e sulla placenta). Quel che è comunque evidente è che lo “star bene durante la gravidanza” non è più solo un diritto e dovere materno, vale anche per il padre. Con l’imperativo a superare la virile riluttanza a curarsi, se del caso.

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