Come spesso accade, sono i governi a raccomandare misure di precauzione prima ancora dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. I primi avvertono la responsabilità politica, la seconda è vocata perlopiù al coordinamento. Dal Ministero della Salute è quindi partito dalla scorsa settimana un “consiglio” al “differimento di viaggi” nei paesi latinoamericani dov’è diffuso il virus Zika alle “donne in gravidanza, e a quelle che stanno cercando una gravidanza”, nonché “ai soggetti affetti da malattie del sistema immunitario o con gravi patologie croniche”, mentre l’Oms ha preferito inizialmente scoraggiare “restrizioni inappropriate”, nonostante ammetta una diffusione “esplosiva”.
C’è chi ben va oltre, e in particolare in Colombia dove il governo ha sconsigliato alle donne di restare incinta per i prossimi sei mesi. La realtà è che il virus non è grave, ma si teme possa avere un impatto sui feti. Va quindi chiarito bene di che si tratta. Fu identificato già nel 1947 in alcune scimmie in Uganda durante un monitoraggio sulla febbre gialla. Il vettore è il medesimo, la zanzara Aedes Aegypti, lo stesso anche della dengue, ma ha una differenza fondamentale, è sostanzialmente innocuo, con sintomi lievi, perlopiù assimilabili a una normale influenza che dura tuttalpiù una settimana.
Qualcosa è però successo nell’ultimo anno. Dopo Asia e Africa, il virus ha assunto una valenza formalmente “epidemica” in Brasile (con rapida diffusione in altri paesi americani), e nel contesto dell’epidemia sono poi emersi dati preoccupanti sui nascituri, con un incremento nei casi di microcefalia.
In ogni caso la correlazione, seppur “fortemente ipotizzata”, non è per ora dimostrata, e lo stesso riguarda l'ipotesi che possa trasmettersi anche per via sessuale. Questa è la realtà, i timori sono per ora legati a sospetti e a possibili mutazioni virali, nonché all'assenza di un vaccino e cure specifiche. Sono perciò già in atto sperimentazioni biotecnologiche di “prevenzione”, alcune controverse, quali l'immissione di zanzare “geneticamente modificate” nell'ambiente di alcuni quartieri brasiliani.
La realtà unanimemente perorata è che serve più ricerca, oltre naturalmente a un'informazione equilibrata.