Le donne soffrono di patologie cardiache più degli uomini, e i sintomi sono spesso ben diversi. Tali realtà suonano sorprendenti a molti, ma la sorpresa è essa stessa parte del problema, perché rivela come non sia sempre adeguatamente affrontata e curata, e più in generale come ancora non venga riconosciuta la differenza di genere nelle diagnosi quanto nei trattamenti.
Il dato di base è questo: sin dal 1984, la mortalità per motivi cardiaci è risultata superiore tra le donne rispetto agli uomini, anche se, nota l’ American Heart Association, in una recente ricerca seguita da una campagna stampa statunitense, emergono miglioramenti nell’ultimo decennio dovuti a una parziale presa di coscienza e a cure migliorate. Il problema però persiste. “Per loro il quadro è peggiore”, spiega la coordinatrice dell’indagine Laxmi Metha, dell’Università dell’Ohio, notando la sottovalutazione dei sintomi “inusuali” che per loro sono invece tipici, quali il respiro corto, nausea, vomito, alta pressione, dolori alla schiena. E l’esito finale è che “ alle donne succede più spesso di essere ricoverate una seconda volta, per infarto o morte”.
Insomma la realtà è che gli allarmi femminili tendono ancora a sottovalutarsi per il persistere di preconcetti, alimentati da dati che sembrano confermarli e invece dicono il contrario. Se le italiane vivono in media fino a 85 anni e gli uomini fino a meno di 80, mentre le aspettative sulla buona salute sono pressoché identiche, significa che si prospetta per le prime più anni di vita malata. E se le donne stesse temono molto meno gli infarti di altre patologie significa che sono anch’esse poco informate.
Da un ventennio la “medicina di genere” ha un riconoscimento globale, anche in sede di Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma esso fa leva su aspetti sociologici, quali le “discriminazioni”, più che sulla differenza biologica. Su questa arrivano molte ricerche dagli Stati Uniti, che documentano il diverso impatto tra i sessi di molte patologie, ma poca elaborazione complessiva.
In Italia il problema è speculare. Tra l’Osservatorio di Bari, corsi universitari a Roma, Padova, Torino e altrove, è passato il concetto che uomini e donne sono fatti diversamente e richiedono trattamenti differenti, ma si reclama più ricerca.