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C’è chi ci ha già provato, almeno un centinaio di persone negli Stati Uniti. Sperando, prima di morire, di potersi risvegliare chissà quando, e cioè quando la scienza lo renderà possibile. Da un laboratorio californiano esce il proclama che quel tempo è vicino.

C’è chi ci ha già provato, almeno un centinaio di persone negli Stati Uniti. Sperando, prima di morire, di potersi risvegliare chissà quando, e cioè quando la scienza lo renderà possibile. Da un laboratorio californiano esce il proclama che quel tempo è vicino. Un cervello animale è stato ibernato e poi riportato a temperatura ambiente, senza che le cellule cerebrali avessero riportato alcun danno.

Beninteso, siamo ancora a tentativi che suonano di fantascienza, ma la ricerca di base si muove e in questi giorni ha fatto emergere degli esiti che paiono promettenti. Il più roboante, e di eco internazionale, è quello annunciato dalla rivista americana Criobiology. Il cervello di un coniglio è stato congelato a oltre 100 gradi sotto zero e, una volta scongelato, non ha mostrato alcun danno anatomico. Il problema dell’ibernazione è che l’acqua, quando si cristallizza, rompe le pareti cellulari e i relativi sistemi biologici. Questo non è accaduto, tramite la sostituzione del sangue con una soluzione di aldeidi, che previene la disidratazione. È solo un esperimento, le cui ricadute sull’essere umano sono ancora tutte da valutare.

Ma è un risultato che si aggiunge a una prassi già avviata di ricerca e di trapianti di organi. Di più, si aggiunge ad altre indagini promettenti emerse proprio in questi giorni. Da un recente studio giapponese risulta che alcuni animali, pescati nelle acque vicine al Polo Sud, sono stati rivitalizzati dopo oltre trent’anni dall’ibernazione. Si tratta degli Acutuncus antarcticus, una specie “tardigradi”, microscopici invertebrati marini. Non è ancora accertato se dopo lo scongelamento abbiano riportato alcuni danni. Di visibili comunque non ce ne sono, si son visti muovere, hanno dunque mostrato segni di vita e, dicono i ricercatori, gli eventuali guasti al Dna saranno essi stessi utili alla ricerca.

Il punto è proprio questo. Non si tratta almeno per ora di affondare nell’insolubile mito della sopravvivenza. Il tema è la ricerca e la cura.

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