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Più la ricerca affonda nell’universo onirico, più emerge che l’incubo, in sé, ha tutt’altra funzione ed effetto. Serve a segnalarci utilmente un problema, e a volte anche a superarlo.

No, non è piacevole fare un brutto sogno. Anzi spesso produce un danno, anche al rientro alla veglia, generando un “day after” segnato da un fondo di stress, con i suoi effetti sull’indebolimento del sistema immunitario. Tuttavia, più la ricerca affonda nell’universo onirico, più emerge che l’incubo, in sé, ha tutt’altra funzione ed effetto. Serve a segnalarci utilmente un problema, e a volte anche a superarlo.

Uno degli ultimi studi scientifici in materia arriva dalla Scandinavia (pubblicato anche sulla rivista specializzata americana Sleep), e si è focalizzato su un corposo campione di 14mila persone di varia età adulta. L’esito, in breve, è non solo la confermata associazione tendenziale tra la qualità dei sogni e il livello di benessere psico-fisico, ma anche il fatto che il brutto sogno agisca, nelle parole del coordinatore finlandese Nils Sandman, “come indicatore precoce dell’insorgenza di una sindrome depressiva”. Non sono una patologia, neppure tra i ricorrenti, sono anzi la sua diagnosi che, se colta, può essere anticipata e affrontata.

In apparenza non è una grande novità, e in qualche modo si allinea con le indicazioni di massima che arrivano da oltre un secolo di psicanalisi. La realtà è che quell’universo affascinante e inquietante rimane tuttora largamente avvolto nel mistero, anche sui risvolti clinici, lasciando aperti alcuni equivoci di fondo, sicché ogni frammento di verità risulta prezioso. Uno degli equivoci è l’istinto a tenere gli incubi alla larga, possibilmente dimenticarli, per il disagio che recano. Invece no, vanno accolti e ascoltati, per tutto quel che provano a rivelarci, anche sulle nostre patologie.

Ma c’è dell’altro. L’incubo può essere terapeutico in sé, un alleato per assorbire, sfogare le difficoltà, e magari anche svelare la propria capacità di riconoscerle e superarle. Un segnale terapeutico, o addirittura una medicina. La storica rivista femminile Marie Claire nei giorni scorsi ha raccolto una serie di pareri scientifici convergenti in proposito.

 

L’esempio più suggestivo, che comincia ad apparire in qualche manuale di psicologia, rimane però quello di una quindicina di anni fa. Arriva da una corposa ricerca di una nota psicologa canadese, Rosalind Cartwright. Il tema era il divorzio, e i seri disagi correlati. Ebbene, il risultato lampante è che chi aveva incubi assidui sull’ex erano quelli che avevano superato meglio il trauma.

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