Tra il succedersi di crisi finanziarie e una popolazione che invecchia, la pressione sulla Sanità si moltiplica, di pari passo con la legittima domanda di contenimento sui costi, anzitutto pubblici. Tuttavia un’analisi dettagliata degli accademici di Harvard rovescia il tavolo dimostrando come i tagli sanitari finiscano con l’essere controproducenti, non solo sotto il profilo della cura, ma anche di quello contabile. La ragione è che generano costi ulteriori e non agiscono sull’efficienza sanitaria. Tendono piuttosto a peggiorarla, per la causa primaria che si dà scarsa retta agli addetti ai lavori.
Lo studio, uscito sotto forma di “seminario web”, risale a più di un anno fa, a firma di Robert Kaplanand Derek Haas dell’Harvard Business University, ma è stato lanciato in Italia nei giorni scorsi dall’ottimo portale di Quotidiano Sanità. Individua “cinque errori fondamentali” da evitare.
Il primo errore è il taglio del personale e/o della sua remunerazione con la conseguente dequalificazione e riduzione della produttività e dell’attenzione alla cura. Il secondo è il disinvestimento negli spazi e nelle apparecchiature, che ingrossa i costi derivanti dalla mancata cura, oltre alle liste d’attesa. Il terzo è la stretta sugli appalti che, se generalizzata, può condurre a un abbattimento del servizio a scapito, non a beneficio, di un recupero di efficienza. Il quarto è la tendenza di amministratori ospedalieri a massimizzare l’ingresso di pazienti, un criterio agli antipodi rispetto alla qualità del servizio. Il quinto è il mancato coordinamento interno, sicché risulta che i costi delle stesse strutture a volte divergano in modo rilevante tra un reparto e l’altro.
Morale, i tagli lineari non servono neanche all’obiettivo contabile, anzi lo peggiorano. C’è invece un enorme margine di risparmio a disposizione per fermare i costi sanitari crescenti, documentati anche dall’ultimo rapporto della Corte dei Conti. Quel margine si trova in un salto di qualità gestionale, rappresentato anche da un più robusto ricorso al farmaco generico che genera già 28 miliardi di risparmio l’anno in Italia, nonostante resti ancora ai posti più bassi tra i paesi avanzati.