Tra i banchi si impara anche a mangiare. Lo sanno bene molte famiglie, pur tra un lamento e l’altro sulle condizioni della scuola italiana. Le mense scolastiche generalmente offrono agli alunni pasti calibrati su regole ferree, per varietà, equilibrio nutrizionale e attenzione alla stagionalità (chiedere, per comparazione, a chi frequentava le mense qualche decennio fa). La buona notizia è che l’Unione Europea ha deciso di proseguire su quel percorso, che ha ricadute salvifiche anche di tipo sanitario, culturale e ambientale.
Il Consiglio dei Ministri dell’Unione ha dato il via libera definitivo al nuovo programma di distribuzione alimentare nelle scuole elementari, con priorità sui prodotti locali e freschi (rispetto a quelli trasformati, dai succhi di frutta ai composti fino agli yogurt) e, naturalmente, di stagione. Lo stanziamento (che scatta dal 2017) è di 250 milioni di euro, quasi un decimo dei quali all’Italia. Privilegiata l’ortofrutta, a seguire latte e latticini, esclusi i prodotti con zuccheri e dolcificanti aggiunti. Quelli contenenti “ basse quantità di sale, zucchero e grasso riceveranno finanziamenti comunitari solo in casi eccezionali e dopo il vaglio delle autorità sanitarie nazionali ”.
La “contropartita” chiesta agli Stati è quella di fare di più per l’educazione alimentare (incluse le visite scolastiche ai produttori), la promozione dell’agricoltura biologica locale, la lotta agli sprechi.
L’incentivo è importante, come il senso complessivo della campagna. In gioco è anzitutto la salute, messa a repentaglio dallo stile di vita urbano e sedentario. L’impatto più vistoso è quello dell’obesità. Come ricorda l’European Food Information Council, essa è “ uno dei maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di molte patologie croniche quali: malattie cardiache e respiratorie, diabete mellito non-insulino dipendente o diabete di Tipo 2, ipertensione e alcune forme di cancro ”. Rischi, si precisa, “associati anche a un aumento di peso relativamente ridotto”.
Quel che si mangia ha un impatto globale, dunque, incluso l’ecosistema. I chilometri percorsi per accaparrare il cibo, ma anche i danni diretti di alcune produzioni industriali. “ Il settore è responsabile di un terzo delle emissioni di gas serra e del 30% del 'consumo energetico finale' in tutto il mondo”, ha ricordato nei giorni scorsi un noto scienziato a Montecitorio.