Attenzione, non è un'“assoluzione” dei cibi troppo grassi o dell'eccesso di zuccheri. Però, i dati svelati nei giorni scorsi da una ricerca sul rapporto tra “merendine e obesità” vanno letti con cura, specie per quel che rivelano sulla priorità dell'attività fisica tra i bambini.
Il “paradosso” è che la correlazione tra i due fattori non solo sembra non esserci, ma può apparire addirittura inversa. Al Nord Italia se ne mangia di più ma l'obesità nei bambini tra 7 e 10 anni è inferiore. Al Sud il contrario. I due casi estremi sono emblematici. In Lombardia l'incidenza del sovrappeso è minima, al 24%, mentre il consumo di merendine è ai massimi, 2,56 chili pro capite annui. Viceversa in Campania, dove il sovrappeso tra i bimbi sfiora il 50%, il consumo di prodotti da forno è al minimo nazionale.
Naturalmente non c'è un rapporto di causa ed effetto dietro al clamoroso paradosso. A determinare i diversi livelli di obesità sono altre variabili, a iniziare dallo sport. La maggior parte dei 2,2 milioni di bambini che praticano regolarmente un'attività vive nel Nord, dove il 54,4% - nota l'Istat – la fa almeno tre volte alla settimana, mentre al Sud la proporzione scende al 41,7%. E se 7 su 10 fa almeno un po' di moto nel Settentrione, nel Mezzogiorno il dato crolla sotto la metà.
Tali cifre sono per giunta parallele ad altre, che riconducono all'alimentazione. Al Nord, ad esempio, l'80% di bambini consuma quotidianamente frutta e verdura. In Calabria, pur ricchissima di risorse, la quota scende al 63,5%
Dicevamo, non è un'“assoluzione della merendina”, da cui del resto nessun nutrizionista consiglierebbe di privare i bambini. Il nodo è la qualità del cibo somministrato, e l'importanza dell'azione motoria. La ricerca, si noti, è stata commissionata dall'Associazione Industrie del Dolce e della Pasta Italiane. Il “paradosso”, dunque è “interessato”, e non inficia l'importanza di ridurre il quantitativo di zucchero nei cibi, specie per i bambini. Lo ha anzi ribadito l'europarlamento in una risoluzione votata in gennaio. Lo raccomanda da anni l'Organizzazione Mondiale della Sanità.