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Sull’obiettivo di contenere i costi sanitari dinanzi a una popolazione che invecchia si dibatte un po’ ovunque, nel mondo, e non sempre a proposito.

Sull’obiettivo di contenere i costi sanitari dinanzi a una popolazione che invecchia si dibatte un po’ ovunque, nel mondo, e non sempre a proposito. Tra un’alchimia e l’altra il rischio è quello di finire a tagliare la qualità della cura, il che tipicamente impatta principalmente sulle fasce deboli. Soprattutto, talora si perdono di vista le soluzioni di risparmio semplici, a portata di mano, che potrebbero viceversa elevare la qualità delle cure, sprigionando nuove risorse. E’ il caso delle scadenze brevettuali, che aprono la strada a un più massiccio ricorso ai farmaci equivalenti.

Lo spunto arriva da un convegno tenutosi nei giorni scorsa da Roma, in relazione a uno studio ad hoc del gruppo EEHTA (Economic Evaluation, HTA and Corruption in Health) diretto dal professor Francesco Saverio Mennini, nell’ambito del Centre for Economic and International Studies dell’Università Tor Vergata, con il sostegno non condizionato della società Mylan. E’ stato analizzato un campione di 9 molecole e 311 forniture, delle quali 52 rinegoziate, 210 cessate senza essere rinegoziate e 49 con scadenza nel triennio 2016-2018 non ancora rinegoziate.

Il “risparmio mancato”, sintetizza Mennini con riferimento solo a quelle molecole, è quantificato “in oltre 81 milioni, dovuto al ritardo o alla mancata rinegoziazione”, in relazione alla “ scadenza brevettuale di prodotti farmaceutici inseriti in lotti già aggiudicati”. Cifra che salirebbe a diverse centinaia di milioni di euro sulla totalità del mercato.

I margini sono rilevanti anche in considerazione del numero e tipologia dei medicinali in scadenza di licenza. L’Ims Health nei mesi scorsi ha rilevato che, dopo quattro anni di calo, sono ben 29 i farmaci che perdono quest’anno la protezione, “per un valore stimato di circa 466 milioni di Euro, un valore di 100 milioni più alto rispetto a quanto avvenuto nel 2015”. Si tratta perlopiù di “terapie specialistiche soprattutto antineoplastiche, antivirali ed antibiotiche”, il cui fatturato più esposto coinvolge per oltre il 60% il canale ospedaliero, che ora presenta i ritardi maggiori nel ricorso ai generici.

Promuovere anche negli ospedali il loro utilizzo”, è stato il proposito prioritario annunciato il gennaio scorso al Corriere della Sera dal neopresidente dell’Aifa Mario Melazzini, prefigurando ricadute benefiche per l’intera assistenza sanitaria: “Con i soldi risparmiati – disse -si potranno avere le risorse da investire per cure come quella dell’epatite”. Paletto ribadito da Mennini: “Tutti i risparmi generati devono necessariamente restare all’interno del sistema ed essere indirizzati a supporto dell’assistenza”. Sull’“ importante ruolo dei farmaci equivalenti” è intervenuto in proposito anche il Ministero della Salute, tramite il Direttore Generale del settore farmaceutico Marcella Marlatta. Tutti apparentemente d’accordo, dunque. E’ tempo però di accelerare.

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