Sulle prospettive dell’occupazione in Italia non c’è da stare troppo allegri, a leggere le ultime stime nazionali e internazionali. La creazione di posti di lavoro è destinata a procedere più lenta che in altri paesi avanzati per la convergenza di diversi fattori. Tuttavia, da uno studio di Unioncamere, emergono anche spiragli interessanti per quel che riguarda le qualificazioni professionali e alcuni settori, a iniziare dalla salute.
Partiamo dalle cattive notizie. Sono quelle delle previsioni di crescita occupazionale da qui al 2020, fissate a un complessivo 2,1%, solo lo 0,4% annuo. Meglio di niente, ma peggio che in quasi tutti i paesi europei. La ragione è anzitutto che la crescita del Pil resterà limitata – stando alle stime macroeconomiche della Commissione Europea e del Fondo Monetario Internazionale – sicché gli ingressi lavorativi saranno perlopiù innescati dal naturale turnover, che però, problema ulteriore, sarà frenato dall’allungamento dell’età lavorativa previsto dalle norme sulle pensioni.
Il bicchiere può comunque legittimamente vedersi “mezzo pieno”, e non solo perché quelle pur piccole percentuali si tradurrebbero in un esercito di oltre due milioni e mezzo di nuovi occupati, ma anche perché, secondo l’approfondimento di Unioncamere, si tratterà soprattutto di professioni qualificate. Gli “High-Skill Jobs” aumenteranno del 2,2%, quasi quanto in Germania, e ben più che in Francia (0,8%).
A fare la parte del leone sarà proprio l’ambito sanitario. In cima alle professioni tecniche, ad esempio, si prevede l’assunzione di 136mila addetti alle scienze della salute e della vita, secondi solo al composito ambito amministrativo-commerciale-finanziario. Lo studio non dice invece molto a proposito dei medici, sui quali anzi si rinnova in questi giorni qualche polemica circa la programmazione dei posti per il relativo corso di laurea, fissato per l’anno prossimo a 9224 mentre quelli disponibili nel Servizio Sanitario Nazionale sarebbero circa duemila in meno.
In ogni caso il settore, nel suo insieme, si conferma trainante per l’economia italiana. Ancor più espliciti i dati reali sulla produzione industriale, calata del 7% nel 2015, e al contempo cresciuta del 5% in ambito farmaceutico, collocandolo al secondo posto in Europa. C’è un’Italia che lavora, e bene, e c’è un’Italia in cui cresce, anche per ragioni anagrafiche, la domanda di salute. Che merita risposta, pubblica e privata.