La lotta all’Alzheimer si nutre quotidianamente degli sforzi di medici e psicologi, alla ricerca di terapie e percorsi capaci di fermare quella che è la principale causa mondiale della demenza (nell’ordine di oltre 25 milioni di affetti accertati). Da Milano arriva peraltro l’inaugurazione di una strada diversa, anticipata. Intervenire cioè prima che la patologia irrompa, sulla base di nuove tecniche e possibilità diagnostiche, oltre che terapeutiche.
Le novità sono state presentate nei giorni scorsi al convegno mondiale “NeuroMi”, presso l’Università di Milano-Bicocca. Il nodo appunto è anzitutto la diagnosi preventiva del rischio, facilitata da nuove tecniche, quando ancora non sono apparsi segnali evidenti, o solo marginali, di deterioramento della funzione cognitiva. D’ora in poi basterà una “Pet” (tomografia a base di positroni) accompagnata da una puntura lombare. Il rilevamento risulta sufficiente ad accertare l’accumulo di “beta-amiloide”, una proteina che innesca la degenerazione dei neuroni nel cervello e nel liquido cerebrospinale.
E’ una novità importante, anche perché si accompagna ad altre sperimentazioni, discusse in questi giorni nel capoluogo lombardo, che dimostrano l’efficacia della terapia preventiva. Si possono somministrare molecole capaci di ridurre la produzione dello stesso beta-amiloide, o addirittura anticorpi capaci di far progressivamente scomparire la medesima proteina dal tessuto cerebrale, penetrando con una semplice iniezione sottocute o endovena.
Il Centro di neuroscienze milanese è stato fondato solo due anni fa in tale Università, unendo le competenze di oltre 300 neuroscienziati dell’area, allo scopo specifico di convergere in un approccio multidisciplinare nello studio delle funzioni cerebrali e nel trattamento dei loro disturbi.
“ La nostra grande speranza è che nei prossimi anni la diagnosi dell’Alzheimer non sia una sentenza inesorabile di una patologia devastante e progressiva, ma la comunicazione di un possibile rischio ”, spiega il direttore scientifico di NeuroMi. Precisando che ad esso “è possibile far fronte con nuove terapie, attualmente in fase sperimentale ”. Un nuovo orizzonte terapeutico, dunque, che parte dal concetto che “arrivare prima” non solo si deve, ma soprattutto ora si può.