Qualche giorno fa ci ha lasciati un signore che tra qualche giorno avrebbe compiuto 88 anni. Si chiamava Donald Ainslie Henderson, americano di origine scozzese, una figlia e due figli, e verrà ricordato nella storia dell’umanità, oltre che della medicina: è ritenuto a giusto titolo il “medico del vaiolo”, ossia colui che più di chiunque altro ha permesso al mondo di far sì che tale grave patologia sia oramai solo un drammatico ricordo del passato. Ma quel che è altrettanto interessante è “come” ci è riuscito, e quel che ci insegna il “tipo” di contributo, salvifico, che seppe fornire, e che indica la via anche per i nostri odierni comportamenti, individuali e collettivi.
Henderson era sì un medico, epidemiologo, ma seppe sconfiggere la malattia a livello globale per altre qualità, ossia quelle di educatore e organizzatore. A metà degli anni ’60, fu incaricato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità di dirigere una massiccia campagna di vaccinazioni, specie in Asia e Africa. Ci riuscì, tant’è che nel 1977 fu rilevato l’ultimo caso in Somalia, e tre anni più tardi la malattia fu ufficialmente dichiarata del tutto debellata. Tant’è che, anche da noi, quell’inconfondibile “marchio” applicato a vita vicino alla spalla, i giovani (oramai fino ai 40enni inoltrati) non ce l’hanno più.
Non è un risultato da poco, stiamo parlando di una piaga che, si stima, ha fatto mezzo miliardo di morti. Il sintomo era quello di gravi lesioni al viso e al corpo, aveva una trasmissibilità molto facile, anche per via aerea, e l’esito, nelle forme più gravi, era quello di un tasso di mortalità fino al 35% nell’arco di pochi giorni.
Henderson non fu dunque quello che inventò il vaccino. La prima sorta di “vaccinazione” fu escogitata in India, ossia la terra del suo focolaio, circa 3000 anni fa, e poi fu Edward Jenner, alla fine del ‘700, a formalizzare il meccanismo, ossia proprio quello di inoculare materiale del virus stesso. Una modalità che oggi qualcuno definirebbe “omeopatica”. Henderson non inventò nulla, il suo merito fu un altro, quello di portare parole e risorse per indurre tutti a vaccinarsi.
Il tema è d’attualità, perché fioccano polemiche, spesso infondate, sulla necessità di vaccinarsi. Il che è invece cruciale, non solo per se stessi ma per la collettività. Di questi giorni il lancio di una campagna di vaccinazione in Africa contro la febbre gialla, che ha già fatto 500 morti solo quest’anno. "Non c'è cura per questa malattia – nota Save The Children - e l'epidemia può diventare globale”. Sperando che a diffondere il concetto sia qualcuno che assomigli al dottor Henderson.