In realtà è il più bello, importante, memorabile anche se il piccolo che lo vive non lo ricorda affatto, non almeno a livello cosciente (a quello incosciente sì, tanto da lasciare tracce a vita, se le cose vanno male). E’ il giorno che suscita le più grandi emozioni e le più antiche filosofie e teologie (gareggiando in questo tuttalpiù con l’ultimo, quello della morte). E’ il momento della procreazione. Tuttavia, segnala l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), è anche e ancora il più pericoloso. Per il bebé, e per la stessa creatrice, la madre.
Ogni anno muoiono 303mila donne nel mondo durante la gravidanza e il parto. Si stima inoltre che ogni giorno circa 830 donne muoiono per motivi evitabili con un minimo di cura. E poi, 2,7 milioni di bambini muoiono nei primi 28 giorni di vita, altri 2,6 milioni nascono morti. Numeri che fanno rabbrividire e che, si noti, sono alimentati soprattutto dai paesi privi di un’adeguata assistenza sanitaria. Il 99% dei decessi delle gestanti avviene nei paesi in via di sviluppo.
In essi, anche le cifre ufficiali difettano, tanto da far temere che quelle reali possano essere il doppio, e da indurre l’Oms a divulgare nei giorni scorsi alcune direttive finalizzate quantomeno a una più precisa raccolta dei dati: sul sistema di classificazione (molti paesi non registrano le cause di morte, e nemmeno le patologie pregresse), sull’analisi della stessa, e sulle conseguenti indicazioni organizzative e cliniche.
Gli allarmi peraltro finiscono qua, le notizie per la verità sono anche positive, e non poco. Negli ultimi quindici anni, ad esempio, la mortalità materna è stata quasi dimezzata (-44%), e l’aspettativa realistica per i prossimi è quella di ridurla ulteriormente a un rapporto di 7 per 10mila nascite (oggi siamo a una proporzione poco meno che doppia).
Come si raggiunge l’obiettivo? La risposta è apparentemente semplice, ma ci riguarda tutti. Servono competenze e strutture mediche correttamente attrezzate. Semplice, ma va fatto. E va fatta anche un’altra cosa: nei paesi avanzati c come il nostro, dove i rischi sono ridotti vicino allo zero, grazie a medici, ostetriche e ospedali adeguati, quelle competenze e strutture non vanno “tagliate” ma difese.