Ci siamo ricordati della tubercolosi per qualche notizia di cronaca, anche un po’ travisata, tra il caso di una pediatra a Trieste e qualche polemica politica locale che ha preso di mira gli immigrati, senza alcun motivo. La realtà è che la patologia non ha mai del tutto abbandonato il nostro paese, con 350 decessi accertati solo nell'ultimo anno. Nel resto del mondo i numeri sono ancor più impressionanti, ma a far da contraltare agli allarmi stanno intervenendo novità importanti dalla ricerca medica.
La patologia è costituita da un'infezione prevalentemente polmonare causata da un batterio, chiamato Koch. Fa paura sia perché è trasmissibile piuttosto facilmente per via aerea – può bastare teoricamente uno starnuto – sia perché è assai letale. I tassi di guarigione sono ancora bassi a livello globale, solo il 52% supera la guarigione, percentuale che scende precipitosamente in compresenza di altre malattie, quali il virus dell'Hiv.
Il quadro dunque rimane piuttosto critico, tanto che a livello globale i decessi nel 2015 sono stati ben 1,8 milioni, sebbene la tendenza risulti in calo, con una discesa del 22% negli ultimi quindici anni, grazie al miglioramento complessivo delle strutture e dei trattamenti sanitari. In sede Onu, è stato poi fissato l'obiettivo di una riduzione dell'80% dei contagi e del 90% delle morti entro il 2030. A tal fine “servirebbero test diagnostici rapidi, farmaci e cure ai malati, ma gli sforzi fatti finora non sono sufficienti”, nota Mario Raviglione, direttore del programma apposito dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che come altri lamenta “risorse sufficienti” per vincere la battaglia.
Tuttavia è proprio dal settore farmacologico che si annunciano orizzonti promettenti. In particolare, sulla rivista americana Infection Diseases, è spuntato in due numeri diversi il resoconto di una ricerca internazionale che sembra foriera di soluzioni. Si tratta della scoperta di molecole che sembrano dotate di una potente azione anti-tubercolare che agisce alla fonte, ossia capaci di inibire un enzima, chiamato “Guab2”, coinvolto nella sintesi delle fondamenta nel Dna, causando la morte del batterio stesso.
La ricerca ha avuto come basi coordinative un centro di ricerca statunitense e un altro sudafricano, ma vi hanno partecipato anche accademie britanniche, svizzere, francesi, ungheresi, nonché l’Università del Piemonte Orientale. Oltre all’esito scientifico, di “sforzo multidisciplinare e culturale eccezionale” parla il coordinatore italiano, il biochimico Menico Rizzi. In effetti, si tratta di studi che hanno trovato il finanziamento congiunto delle autorità sanitarie americane ed europee. Il messaggio è che tra uno spauracchio e l’altro, anche della cronaca, insieme si può fare tantissimo se ci sono la volontà e le risorse, perfino debellare le patologie più letali.