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Non lo diciamo noi, “simpatizzanti” del generico. Lo dicono le più autorevoli agenzie indipendenti, con rapporti presentati anche in Parlamento, e con rilevanti prese di posizione in questi giorni: i medicinali equivalenti stanno salvando la Sanità italiana e la salute dei cittadini.

Non lo diciamo noi, “simpatizzanti” del generico. Lo dicono le più autorevoli agenzie indipendenti, con rapporti presentati anche in Parlamento, e con rilevanti prese di posizione in questi giorni: i medicinali equivalenti stanno salvando la Sanità italiana e la salute dei cittadini, in ragione della loro completa equivalenza sotto il profilo dei principi attivi nonché dell’efficacia e sicurezza terapeutica, il tutto accompagnato con costi ben più bassi; eppure esiste ancora nel nostro paese, ben più che negli altri Stati avanzati, un pesante freno dettato, per dirla in una parola, dalla “sottovalutazione”. 

Lo ha documentato, tra gli altri, la Fondazione GIMBE col suo ultimo approfondimento che ha per specifico oggetto “Il sotto-utilizzo dei farmaci equivalenti in Italia”. Emergono vincoli normativi e operativi, ma soprattutto una variabile “culturale” che non ha più ragion d’essere, specie considerando che i migliori sistemi sanitari al mondo ne hanno fatto in questi anni ben più ampio ricorso.

Si nota infatti che i generici vengono utilizzati in Italia assai meno che altrove: per l’esattezza (dati 2013) rappresentano il 19% del mercato farmaceutico totale (mentre la media dei paesi Ocse è al 48%) e l’11% della spesa (la media Ocse è al 24%). Ancor più paradossale il dato rapportato ai farmaci a brevetto scaduto, ossia l’ambito d’elezione degli equivalenti: ebbene, anche qui costituiscono solo il 28% della spesa pubblica, proporzione che poi, altro paradosso apparente, si comprime ulteriormente non nelle regioni ricche, ma quelle del centro-sud, più bisognose di un sollievo finanziario.

E chi paga la differenza aggiuntiva rappresentata dall’inutile ricorso al medicinale “di marca”? I cittadini, naturalmente, con un esborso “out-of-the-pocket” di oltre un miliardo di euro nel solo 2015. E tra tante cifre e grafici emerge un ulteriore fatto paradossale sul danno del sotto-utilizzo per i pazienti e la collettività. Da un lato, in ragione della situazione di difficoltà economiche, si assiste a una “riduzione dei consumi di farmaci di classe C”, quelli non rimborsabili. Dall’altro, su quelli rimborsabili di classe A, “permane una resistenza ad abbandonare la marca, con ulteriore aumento dei costi”. Morale, coi generici si potrebbero risolvere ambedue i problemi, economico e terapeutico, e migliorare le terapie agevolando l’accesso ai medicinali innovativi. 

L’effetto del sotto-utilizzo è anche quello di “aumentare le spese e ridurre l’aderenza terapeutica”, nota ancora il presidente della Fondazione Nino Cartabellotta. “E’ quanto sosteniamo da tempo - commenta lo stesso presidente di Assogenerici, Enrique Häusermann - il sottoutilizzo dei farmaci equivalenti, determinato dalla diffidenza, nuoce alla collettività ovvero alla salute pubblica nel suo complesso”. Tempo di voltare pagina, dunque, da parte di operatori, medici prescrittori, farmacisti, e anche pazienti. C’è l’orizzonte di potersi curare spendendo meno, a identica efficacia terapeutica, e il fatto di non saperlo e di non attuarlo è un danno vero, per noi e per tutti.

 

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